Direzione
Artistica
Wanda Nazzari
Ufficio Stampa
Rita Atzeri
consulenza
scientifica
Mariolina Cosseddu
Organizzazione
Stefano Grassi
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STANZE
2001
progetto
espositivo multimediale
Centro
Culturale Man Ray:
Cagliari,
28 settembre - 17 dicembre 2001
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9
novembre - 19 novembre 2001 |
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ARDAU + CALÍ
titolo:
Acqua, verde profondo
Installazione: stampa plotter su acetato, smalto, olio d'oliva
Dimensione ambiente
Vischioso
e irriverente è il liquido che cola dall'installazione
delle giovanissime Ardau+Calì, avvolgente è, invece,
la sua dimensione spaziale: una grotta, con tutte le valenze simboliche
di cui, fin dalle origini, tale spazio è andato caricandosi
sia in ambito cultuale, sia nella sfera inerente alla sessualità,
sia, infine, nella psicanalisi, per la quale entrare nella grotta/caverna
ha il significato di un ritorno nel grembo materno, una regressione
nell'oscurità della vita prenatale, desiderata e rassicurante.
Le due artiste, in un complesso gioco di rimandi, hanno costruito
una grotta nella grotta, sovrapponendo strati di acetato stampati
con delle enormi vulve colorate di un " verde profondo"
di grande impatto visivo. Lo spazio, postmoderno e arcano, protettivo
e umido, acquoso nel gioco di trasparenze e di riflessi, riacquista
e amplifica così tutta la sua forza simbolica e archetipa.
In esso il liquido amniotico si fonde coi più ostentati
umori sessuali che si concretizzano, con disinvolta ironia, in
reali colature di olio d'oliva. Un sapiente e disincantato gioco
di generi artistici raffredda le immagini crudamente realistiche
con procedimenti computerizzati, restituendo loro virulenza espressiva
attraverso interventi pittorici manuali. Alternando un glaciale
distacco a una forte partecipazione gestuale ed emotiva e caricando
di esplicite e provocatorie connotazioni erotiche l'installazione,
Ardau+Calì costringono lo spettatore a un intrigante rapporto
empatico al quale è difficile sottrarsi. Come un gioco
psicologico, le vulve/farfalle somigliano a incombenti macchie
di Rorschach, capaci di far affiorare, quasi in un processo di
automatismo psichico, aspetti profondi e oscuri della personalità
di ciascuno, nonostante, nell'intenzione di delle artiste, non
vogliano essere altro che l'esteriorizzazione fisica ed estetica
di un processo tutto interiore e autoreferenziale. Una provocatoria
rilettura della courbettiana Origine del mondo, seppure in un'ottica
tutta interna all'universo femminile.
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ERIK
CHEVALIER
titolo:
La pioggia delle danze
Installazione: legno, ferro, terra, acrilici, video
Dimensione: ambiente
La
pioggia delle danze è un'opera di forte impronta concettuale,
giocata sull'inaffidabilità della percezione sensoriale
di fronte alla quotidianità e ai suoi riti, un'inaffidabilità
che genera equivoci, spaesamenti e ambiguità. La più
scontata normalità, mummificata e ridotta a reperto probatorio,
acquista un'insospettabile precarietà, tutto appare innocuo
ma, in realtà, diventa possibile vettore di storie e memorie
per niente tranquillizzanti. L'artista imbalsama oggetti d'uso
comune quali coltelli da cucina, banconote, forbici e fogli stampati
e li illumina con una comunissima lampada da tavolo. L'insieme,
sciatto e trasandato quale può essere quello di una dimensione
domestica, non ne possiede la rassicurante banalità. Tutto
appare disposto con un ordine eccessivo e "sospetto"
che rimanda ad altro, come ad altro, una verità sotto la
crosta dell'apparenza, rimanda anche un simbolico vulcano di terra
dal quale filtra una fioca luce rossastra. Gli oggetti sono "incriminati"
e divengono latori di funzioni inedite. Sono messaggeri di riti
collettivi anch'essi "criminalizzati" e dei quali parla,
in uno dei frammenti cartacei depositato sul tavolo, l'antropologo
Omar Falladhi quando osserva che "presso le popolazioni occidentali
le cerimonie politiche e religiose dedicate alla speranza di un
futuro migliore o alla salvezza dello spirito non hanno lo scopo
di provocare miglioramenti o salvezza, ma di drammatizzare la
dipendenza collettiva dalla speranza e, di conseguenza, rafforzare
l'unità e l'identità del gruppo". Pertanto,
come la danza della pioggia non intende chiedere la pioggia quanto,
semmai, sottolineare la compattezza della comunità di fronte
all'emergenza, così, La pioggia delle danze allude al un
tentativo, vano e frustrante, di sottrarsi a tali riti collettivi
per riacquistare la libertà della solitudine. Una conferma
viene, in tal senso, dal video in cui compare un omino virtuale
che cerca di uscire, anch'esso inutilmente, dal vicolo cieco nel
quale si è infilato o è stato costretto.
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ANTONELLO OTTONELLO
titolo:
Senza
titolo
Installazione: bambù, latta, legno, ferro, terracotta,
spago, ricci di mare, semi di mogano
Dimensione: ambiente
Da
tempo Antonello Ottonello allestisce le sue installazioni utilizzando
frammenti di realtà - in modo pressoché esclusivo
elementi naturali -, ricontestualizzati e resi "artistici"
tramite complessi e sorprendenti accostamenti. Senza cadere nell'ecologismo
di maniera o in stucchevoli e modaiole situazioni New Age, per Stanze
2001 taglia diagonalmente la grotta lunga del Man Ray con una teoria
di lance in canna di bambù assemblate in cinque gruppi di
tre, negandone l'aspetto offensivo e caricandole, piuttosto, di
un'improbabile e vagamente surreale dimensione araldica. Le lance
reggono infatti terrecotte decorate e sagomate a mo' di arcaiche
protomi animali, ricci di mare, bizzarri semi di mogano, pezzi di
latta capricciosamente accartocciati e si prestano a una lettura
polisemica: consapevoli citazioni di sculture di maestri del Novecento
del calibro di Picasso e Mirò, dei quali recupero l'aspetto
più ludico e vitalistico, fantastiche produzioni di un artista/bambino,
insegne di oscure confraternite dedite a chissà quali culti
misterici, o, forse, nella loro essenzialità, emblemi di
una natura rinsecchita e ridotta a inutile simulacro di se stessa.
E se quest'ultima, con la sua carica di negatività, fosse
la prospettiva privilegiata, le lance e i suoi terminali assurgerebbero
al ruolo di inquietanti correlativi oggettivi di montaliana memoria,
come lo erano per il poeta di Ossi di seppia "il rivo strozzato
che gorgoglia", "l'incartocciarsi della foglia riarsa",
"il cavallo stramazzato" e, ancora, i suoi invalicabili
muri con sopra i "cocci aguzzi di bottiglia", il "male
di vivere" insomma. Così, al di là del più
immediato rimando a una situazione di incombente e drammatica desertificazione
ambientale, quest'installazione evoca ben altri "deserti"
mentali e spirituali. Ma, pur enfatizzati da una dimensione in bilico
tra metafisica e surrealismo, tali deserti sono riletti dall'artista
con supremo distacco o, più precisamente e grazie alla vivificante
acqua dell'ironia, con la lucida consapevolezza della "divina
Indifferenza".
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