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Guasila, un paese in Sardegna a cura di Giulio Angioni Angelo Viali Editore - Cagliari 1984
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Guasila, memorie e immagini del Novecento Andrea Melas Edizioni Puddu e Congiu 1999
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Il gioco del mondoGiulio Angioni,Il Maestrale, Nuoro,2000.in esclusiva due stralci tratti da "Il gioco del mondo" 1Paramount era alto e dinoccolato come il don
Chisciotte che una volta ci aveva fatto vedere sul lenzuolo. Ma
soprattutto quanta America già vista in quel lenzuolo, quando poi
qualcuno l'ha vista vera e tale quale come sul lenzuolo. Era colpa o merito di Paramount se a Fraus allora c'era gente con certi
soprannomi: Dorisdéi era la belloccia del momento, Tommix un pastorello,
Toro Seduto un toro vero del Gran Re Marroco, e anche se qualche resto
di ciuingomma rimaneva appiccicato alle sue sedie con il segno delle dentature,
dopo che si erano visti sul lenzuolo Marylin, Gary Cooper,
Spencer Tracy. Erano tutti vivi e belli, allora, e adesso invece sono larve rare sullo
schermo: quanto più di ricordi da soffitta?
Il cinema era meglio
di andarsene a guardare nei cortili del Gran Re Marroco i vitellini
appena nati che si attaccano alle poppe barcollando e poi si staccano
lasciando goccioline nei capezzoli; meglio di andare a vedere di
nascosto i cavalli che gli viene la canna dura e rossa, poi montano
nitrendo le cavalle morsicandole sul collo; meglio di stare a osservare
Sarbadòi canargio mentre addestra i suoi bracchi da ferma e da riporto.
Non solo i sacrifici, anche i peggiori delitti dell'infanzia li
ho commessi per le dieci lire del cinema che Paramount faceva sabato e
domenica e le feste comandate. Lo faceva in un vecchio magazzino del
Gran Re Marroco, che un tempo era servito per le decime, si dice, e poi
per stagionare il pecorino dei casari d'Abruzzo e Ciociaria, che nessuno
capiva nel parlare. Se ne sentiva un po' l'odore, del siero e del
formaggio, solo entrando, quasi come una cosa di altri tempi.
Paramount su in cabina manovrava misteri e meraviglie, di lui però
gli spettatori si ricordavano solo quando mancava la corrente o si
rompeva la pellicola, e Tyron Power si scomponeva in Ridolini, la musica
finiva in un lamento uguale a quello del pubblico giù in sala. E
allora Paramount si riscuoteva dal suo sonniloquio tra budelli di
pellicola pendenti come da una pecora sventrata, si dava da fare e sul
lenzuolo la Pulzella di Orléans riprendeva a salire impavida sul rogo o
Greta Garbo abbassava le palpebre divine al primo bacio di Errol Flynn. 2Senza Ronzinante e senza Sancio Panza, Ennio era partito verso il Nuovo
Mondo, col suo passo da hidalgo, maledicendo Fraus, che non ne scampi
uno!, venduto ogni suo bene sotto il sole, con una moglie ancora calda
nella fossa. E adesso nel suo loculo anche Ennio sta in effigie degli anni americani,
con un serpente intorno al collo, nel ritrattino ovale, come in un
fotogramma di un antico film di Tarzan. C'è chi non sa tornare, dicono di lui, perché non si tratta di un
viaggio, ma di un'arte lunga, ritornare al paese. Ennio è tornato male
dopo un brutto andare via. Non perché come tanti è ricomparso senza un
soldo, ma perché triste e allucinato più di don Chisciotte, scarso di
riso e di parole, stanco di prendere mulini per giganti, vecchie bagasce
per la Dulcinea. Si sa di un pianto irrefrenabile e convulso, quando Ennio ha rivisto da
lontano il suo paese con la chiesa bianca e tonda lassù in cima, come
un'antica chioccia attenta ai suoi pulcini. Questo però è successo
anche ad altri, che hanno saputo tornare, anche se per leccarsi le
ferite, in retromarcia. Aveva una tristezza mansueta, Paramount, definitiva. Non frequentava più
parenti. Ha conservato una cert'aria da signore, gli veniva così,
per un'inclinazione ereditaria. Non per niente era un Marroco, sebbene
ramo povero e residuo. Si
dice che in America il lavoro lo cercasse con la voglia di Bertoldo per
l'albero dove pendere impiccato. Si dice pure che di là dal mare abbia
preso la sifilide, che a Fraus allora era peccato più che malattia. Aveva
certamente fatto il cameriere. Sul fare della sbronza al Bar Centrale più
volte si è esibito in arti americane del servire, con il passo del
tango: estrarre la tovaglia con un solo strappo, lasciando immobili sul
tavolo bottiglie e bicchierini, con una sola mano, la sinistra, e con la
destra al petto dove batte il cuore, come in traje
de luz: "Olè", gridano applaudendo gli avventori. Gli
offrivano da bere. Parlava
un misto di frauense e castigliano, quando raccontava quelle sue famose
balle americane: che ha fatto il massaggiatore di galli da
combattimento, che laggiù in casa tengono serpenti come gatti contro i
topi. Ma se beveva troppo confessava di essere vissuto in lugares
spaventosi dov'è stato svuotato di ogni voglia,
làstima. Però non è tornato rinsavito, come quell'altro nella Mancia. Con la
testa all'indietro ha ricontato i tempi andati nella casa muffa, e i
giorni ritrovati senza riconoscerli, scroccando bicchierini ai vecchi
amici di prima di andare via maledicendo, fino alle sbornie mute e
solitarie, perso in progetti inconsci di vita più sensata. Un
giorno io gli ho chiesto consulenza di spagnolo, per una pagina
difficile del Lazarillo de Tormes, che stavo
preparando per l'esame. E da quel giorno le avventure di Làzaro, e poi
dopo ancora di Celestina, di Rinconete e Cortadillo, di Guzmàn, di
Justina e del Buscòn, Enniu le ha raccontate come cose sue, parte della
sua vita americana. E’ morto di vecchiaia. Ma fino a quel momento ha
sempre scritto interminabili lettere d'amore a una sua Dulcinea del Rio
de la Plata.
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