Fra “opera 
aperta” e mistificazione

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Ipertestualita': fra “opera aperta” e mistificazione

Le molte teorizzazioni che sono nate intorno all'ipertesto in questo ultimo decennio hanno spesso peccato di ingenuità, l'entusiasmo per l'innovazione, tipico degli opinion leader della rivoluzione digitale, ha portato a mistificare e sopravvalutare questa che rimane, nella sua essenza, una tecnologia informatica. Si rende necessario, pertanto, alla fine di questa analisi delle caratteristiche dell'ipertestualità, precisare alcuni aspetti del nostro oggetto d'analisi, per tracciarne un quadro complessivo, cercando di fare chiarezza, per quanto possibile, su tali ambiguità e mistificazioni. Ravviso, in particolare, due limiti nelle più diffuse e citate teorizzazioni sull'ipertestualità: una eccessiva volontà di rottura nel rapporto fra ipertesto digitale e testo tradizionale a stampa ed una confusione nel determinare gli aspetti innovativi dell'ipertesto, soprattutto laddove si considerano come equivalenti  le innovazioni sul piano del contenuto e quelle sul piano dell'espressione.

Andando per ordine si può notare, innanzitutto, che certe osservazioni sulla dialettica testo-ipertesto partono da una concezione gerarchica e informazionale dei processi comunicativi, il testo è visto come un sistema di significati stabili e precodoficati, si ritiene che non vi sia una forma di relazione nella fruizione del testo tradizionale. Spesso coloro che esprimono questa posizione sembrano ignorare i concetti di cooperazione testuale elaborati in campo semiologico, o le osservazioni che, in campo massmediologico e sociologico, hanno portato all'affermzione di paradigmi relazionali e interattivi, in cui i processi comunicativi sono comunque interpretati come fenomeni di creazione e condivisione di significati. Pertanto molti dei luoghi comuni relativi alla natura degli ipertesti, come l'interattività, la non sequenzialità, la polifonia, la sincreticità, sono le prove di un approccio all'oggetto in questione che denuncia, in molti casi, ingenuità e pressappochismo metodologico. Così la dialettica tra ipertesto digitale e testo stampato tradizionale ha, di solito, finito per esaltare oltre il dovuto gli aspetti innovativi del primo, senza riflettere sul fatto che ipertestualità, intratestualtà e intertestualità  sono innanzitutto modalità fruitive di qualsiasi testo, e solo in un secondo momento tecnologie testuali. Come si è più volte sottolineato, poi, anche la testualità tradizionale si presta a essere elaborata in maniera ipertestuale, con un lettore che coopera alla costruzione del senso del testo, operando spostamenti a livello semantico e intertestuale e rielaborando, secondo strategie enunciazionali soggettive, la presunta assoluta rigidità e sequenzialità della struttura testuale classica. In questa prospettiva la presupposta apertura degli ipertesti digitali, la posizione di autorità delegata al fruitore nell'attività di produzione del testo, vengono notevolmente ridimensionate se si valutano attentamente i vincoli che l'autore può imporre nella strutturazione del testo stesso. La presunta assoluta libertà del lettore diviene pertanto niente più che una serie di scelte condizionate da una precisa strategia, infatti, come ho già avuto modo di sottolineare, l'interattività ipertestuale, pur essendo senza dubbio maggiore come quantità, è paradossalmente meno libera di quella testuale in senso stretto. L'interfaccia ipertestuale, strutturata in collegamenti intratestuali e intertestuali, necessita l'opera di comprensione e di interpretazione del fruitore, il quale ha certamente maggiori spazi di dialogo e di interazione col testo, ma minori possibilità, ad esempio, di ipocodifica ed ipercodifica, ovvero di interpretazioni del testo che si scostano dalle reali intenzioni dell'autore, visto che il sistema di rimandi proprio degli ipertesti consente correzioni immediate di eventuali casi di decodifica aberrante o di interpretazione distorta. 

Un altro limite delle più diffuse teorie dell'ipertesto è la confusione che spesso generano fra il piano dell'espressione, l'aspetto materiale, il supporto, e il piano del contenuto, il messaggio, l'opera in sè e per sè. Infatti si parla in continuazione di riconfigurazione della  testualità con un uso ambivalente, che sembra coprire sia le caratteristiche del contenuto, del medium, che quelle dell'espressione, del messaggio. Ora se è evidente che l'ipertesto, in quanto tecnologia, modifica in maniera radicale il supporto fisico del testo, la sua materialità, il piano dell'espressione, è più controverso il suo impatto concreto sugli elementi del piano del contenuto. Landow sostiene che "l'ipertesto... sfida il racconto e tutte le forme letterarie basate sulla linearità, mette in questione le idee di azione narrativa e di trama diffuse sin da Aristotele" (Landow, 1993); Robert Coover arriva ad affermare che "l'hyperfiction è una nuova forma dell'arte narrativa che si può leggere solo al computer e che è stata resa possibile dallo sviluppo della tecnologia dell'ipertesto e degli ipermedia" (cit. in Blonsky). I due studiosi americani prefigurano una sorta di rivoluzione della narratività, delle strutture del racconto, ma tale rivoluzione è già stata in buona parte realizzata nella storia della letteratura da personaggi come Joyce, Borges, Sterne, Calvino senza l'ausilio dell'informatica e della tecnologia, ed a livello teorico le nozioni di fabula, intreccio, opera aperta ne sono la testimonianza. Inoltre, per quel che si è potuto vedere, la hypernovel, o hyperfiction, è ancora ad un livello sperimentale ed embrionale, nella maggioranza dei casi, infatti, si tratta di esercitazioni intellettuali poco originali. La realtà della fruizione di ipertesti è legata all'informazione, alla didattica, alla ricerca, alla saggistica specializzata, alle enciclopedie multimediali, mentre il racconto ipertestuale evocato da Landow e Coover, ma anche da Nelson e da altri guru del settore, è, per ora, una vera  e propria chimera.
 
 

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