“I padri lontani” – Einaudi, 1987

Un autoritratto che è anche un dialogo a più voci tra diverse generazioni.

 

 

 

 

 

 

 

“Io non piango e non mi stupisco, io racconto”. Marina Jarre potrebbe assumere questa orgogliosa dichiarazione come motto del libro con cui torna alla narrativa dopo un silenzio di qualche anno. Si tratta, in apparenza, di un’autobiografia, che si snoda tra la Lettonia degli anni ‘20 e ‘30 (incrocio di culture e genti diverse, dove la Jarre è nata), il piccolo mondo ordinato e dignitoso delle valli valdesi e la Torino dei nostri giorni.

Vi campeggiano figure e ambienti familiari: il padre, che viene da una famiglia di ebrei russi, con il suo aspetto di principe arabo, notturno ed elusivo, sempre impegnato in affari strampalati; la madre, volitiva insegnante di lingue, fedele alle altezze del proprio stile e alle regole che impone a sé e agli altri; la sorella, i nonni, e poi la nuova famiglia l’autrice si costruisce.

Il tono, tuttavia, non è quello del vagheggiamento del tempo perduto, in chiave lirica e nostalgica, di tanta letteratura di memoria, ma quello asciutto ed essenziale di chi cerca un dialogo con se stesso, le persone della sua vita, i lettori. Il tema che corre per tutto il libro è il confronto tra le generazioni, l’opposizione radicale tra il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, poetico e fantasioso, ma anche sottilmente logico e rigoroso, e quello distratto e imperscrutabile degli adulti, tanto spesso assenti.

Lontano e minaccioso appare anche il padre per eccellenza, il dio degli antenati valdesi, con le sue collere e le sue punizioni, con la sua richiesta di portare pesi sovrumani e di soffrire in silenzio. Eppure quel rapporto così difficile non si interrompe mai del tutto, segue ragioni e percorsi suoi, tra fedeltà di fondo e desiderio di emancipazione, e sembra che solo il tempo e il ricordo riescano a farlo maturare.

Il libro è soprattutto un “romanzo di formazione”, dove campeggia un intrepido personaggio femminile che cerca tenacemente di restare se stesso, e di realizzarsi, tra timore e fervore, rabbia e pietà, orgoglio e tenerezza.

 

“Quale patria, per chi non ne ha nessuna o piu’ di una?”, relazione di Marina Jarre

 

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09/01/01