Edgardo Sogno
Doppio Sogno o doppio Stato?

1. Funerali di Stato
2. Sogno antifascista?
3. Sogno eversore?
4. Sogno golpista «bianco»
5. Il biennio nero
6. Destabilizzare per stabilizzare
7. I volonterosi funzionari del doppio Stato
8. Revisionismo all’italiana
9. Bibliografia

 


4. Sogno golpista «bianco»

Il combattente Sogno, dopo l’esperienza di Pace e Libertà, rientra nei ranghi e nel ruolo del ministero degli Affari esteri e passa alcuni anni fuori dall’Italia come diplomatico in Birmania. Rientra in patria nel 1970 e subito fonda i Comitati di Resistenza Democratica. Sostiene di essere tornato in Italia «in un momento eccezionale, in obbedienza a un dovere morale». Il momento, effettivamente, è eccezionale: la strage di piazza Fontana, nel dicembre 1969, ha appena dato il via alla cosiddetta «strategia della tensione», che nella mente dei suoi ideatori avrebbe dovuto portare a un cambiamento istituzionale e a una svolta autoritaria. Quelli dal 1970 al ’74 sono gli anni più intensi della «guerra non ortodossa», teorizzata e preparata da un convegno, il noto incontro del 1965 all’Hotel Parco dei Principi a Roma, organizzato dai servizi e dallo Stato Maggiore della Difesa con la partecipazione di alcuni leader del neofascismo italiano. All’avvio della fase della «distensione» tra Est e Ovest, i promotori del convegno (e della «guerra non ortodossa») sostengono che il comunismo non si sta «aprendo», ma sta soltanto utilizzando tecniche più sofisticate per penetrare in Occidente. Il nemico è il «dialogo», considerato il cavallo di Troia del comunismo nell’Occidente. Il pericolo è alle porte, dunque, e in un momento di rischio eccezionale per l’Italia bisogna rispondere con mezzi adeguati ed energie eccezionali. Dopo il 1968 degli studenti e il ’69 degli operai, la società italiana si è spostata a sinistra e il Pci potrebbe conquistare il potere per via elettorale. Diversi centri si attivano per scongiurare il pericolo: alcuni ruotano attorno agli ambienti della destra estrema, altri attorno agli apparati statuali e agli ambienti atlantici. Il fine, per tutti, è unico: impedire comunque l’arrivo dei comunisti al potere, con ogni mezzo. Le tattiche sono diverse: alcuni, come gli uomini raccolti attorno al principe Junio Valerio Borghese, puntano al golpe classico, con forti tinte neofasciste; altri, come Sogno e Pacciardi, progettano una svolta presidenzialista e gollista per dare all’Italia un «governo forte» e una «Seconda Repubblica»; altri ancora ritengono che sia sufficiente minacciare il golpe per mantenere e consolidare gli equilibri e ritengono che azioni anche violente di disordine possano essere giocate come carta per ottenere una generalizzata richiesta d’ordine («destabilizzare per stabilizzare»). Sogno si getta nella mischia. Ristabilisce i contatti con i vecchi partigiani bianchi della Franchi. Sono con lui Angelo Magliano, Aldo Cucchi, Rino Pachetti, Andrea Borghesio ed Enzo Tiberti (di cui, molti anni dopo, sarebbe emersa l’appartenenza alla struttura Gladio). Insieme preparano un progetto presidenzialista. Sostenitori e finanziamenti non mancano. Dichiarerà anni dopo il direttore delle relazioni esterne della Fiat, Vittorino Chiusano, al giudice istruttore di Torino Luciano Violante: «Nel 1970 o 1971, non ricordo bene, il dottor Sogno venne nel mio ufficio esponendomi la necessità di un finanziamento per svolgere un’azione politica che mi sembrava interessante nei confronti del Pli. Sostanzialmente si trattava di fare di questo partito l’elemento catalizzatore della destra democratica anche per sbloccare i voti congelati nel Msi. Il discorso mi è sembrato valido e ho disposto il versamento di contributi per lo svolgimento di questa attività». Dalla sola Fiat, Sogno riceve tra il 1971 e il 1974 almeno 187 milioni dell’epoca, che gli servono, secondo le dichiarazioni di Chiusano, per «conquistare» il Pli e «aprire» al Msi. Il 30 maggio 1970 nascono ufficialmente i Comitati di Resistenza Democratica: nell’abitazione dell’architetto Guglielmo Mozzoni, a Biumo di Varese, presente «una trentina di ex partigiani democratici», secondo il racconto dello stesso Sogno. Nel programma in dieci punti stilato quel giorno si legge: «La crisi che si presenta come certa, anche se a un’epoca non ancora precisabile, è una crisi profonda dello Stato e delle istituzioni. Essa costituisce una svolta, un punto limite oltre il quale viene a mancare la base di legittimità su cui la Repubblica è stata fondata». Per questo si rende necessario «ristabilire il carattere democratico, occidentale e nazionale del regime». «Al momento della crisi rappresenteremo l’unica alternativa con una preparazione e una legittimità per la fondazione della seconda Repubblica». Al Comitato di Sogno aderiscono due stranieri eccellenti: John McCaffery Junior, il figlio dell’uomo che nel 1943-45 guidò da Ginevra i servizi segreti inglesi in Italia, ed Edward Philip Scicluna, che durante la guerra fu paracadutato tra i partigiani come ufficiale di una missione inglese e divenne poi capo della Divisione Lavoro della Commissione Alleata in Piemonte. Nel 1970 Scicluna era direttore generale della Fiat Agency and Head Office a Malta. Ha contatti con Sogno anche Hung Fendwich, ingegnere americano dirigente dell’industria elettronica Selenia, considerato eminenza grigia della Cia in Italia e intermediario tra il presidente Usa Richard Nixon e il principe golpista italiano Junio Valerio Borghese. Al pubblico, il movimento di Sogno è presentato il 20 giugno 1971. Sono appena state aperte le urne delle elezioni amministrative parziali del 13 giugno, in cui l’estrema destra ha avuto un buon risultato elettorale. Sogno proclama: «Si avvicina il momento in cui sono necessarie soluzioni che non rientrano più nella meschinità del calcolo e del dosaggio politico ordinario, il momento in cui fatalmente prevale chi sa concepire una comunità più ricca di motivi ideali, una società fondata su valori morali più generosamente e generalmente sentiti». Nell’ottobre successivo, un gruppo di medaglie d’oro della Resistenza iscritte alla Fivl, la Federazione Italiana Volontari della Libertà, firma un appello contro i «frontismi estremi» e a favore di Edgardo Sogno. Nel gennaio 1972 inizia le pubblicazioni la rivista Resistenza Democratica: editore è Enzo Tiberti, ex partigiano delle Brigate Garibaldi, iscritto al Pci fino al 1948, poi passato al fronte anticomunista ed entrato nel 1960 nelle file di Gladio. Il primo numero della rivista ha articoli firmati, tra gli altri, da Massimo De Carolis, da Aldo Cucchi, dal generale Sabatino Galli. Sul secondo numero di Resistenza Democratica il giornalista televisivo Enzo Tortora scrive sulle «follie del dittatore-attore Fidel Castro» e compaiono anche articoli in favore del Movimento nazionalista ucraino che si rifà al governo filonazista di Jaroslav Stetzko. A una delle manifestazioni del Comitato, il 28 febbraio 1972 al teatro Odeon di Milano, accanto a Sogno ci sono il massone Aldo Cucchi, il solito Massimo De Carolis e un socialdemocratico che farà strada: Paolo Pillitteri. Nel frattempo si riavvicina a Sogno anche Luigi Cavallo, che aveva già collaborato con lui negli anni Cinquanta, ai tempi eroici di Pace e Libertà. Nel settembre 1973, all’indomani del golpe del generale Pinochet in Cile, Sogno commenta: «Nel caso del Cile è ingiusto e disonesto accusare i militari di aver ucciso la democrazia». Nel novembre successivo, parlando a Milano, afferma: «In momenti come questi non possiamo lasciare il nostro destino e quello dei nostri figli nelle mani di politici di mestiere che hanno perso il senso della storia e si sono rassegnati al peggio. Nei momenti decisivi per questo Paese noi abbiamo sempre avuto piccole minoranze, uomini singoli che sono intervenuti e che hanno assunto la responsabilità della guida morale e delle grandi decisioni. Di fronte alla situazione in cui stiamo scivolando, l’intelligenza e il mestiere politico non sono più sufficienti». E ancor più chiaramente: «La ripresa di un cammino ascendente nello sviluppo economico, sociale e politico del Paese è impossibile senza una rottura della continuità con l’attuale regime, senza una radicale modificazione dell’attuale quadro politico e senza il totale ricambio dell’attuale classe politica». Con il passare dei mesi, si accentuano i caratteri eversivi del movimento e si riducono le distanze tra le due ali del «partito del golpe» che è al lavoro in Italia: molti partigiani abbandonano Sogno, che si avvicina invece agli uomini del principe Borghese, come Remo Orlandini; e Andrea Borghesio, amico personale di Sogno e sostenitore del suo progetto fin dalla prima ora, entra nell’esecutivo piemontese del Fronte Nazionale di Borghese, fianco a fianco con il neonazista Salvatore Francia, capo piemontese di Ordine Nuovo. Sogno dunque, per sua stessa ammissione, lavora per la «rottura», per «una radicale modificazione» del quadro politico. Progetta un piano eversivo che sarebbe dovuto scattare mentre le grandi fabbriche erano chiuse e l’Italia era in vacanza, tra il 10 e il 15 agosto 1974. Prepara un’azione, anche armata, che sarebbe scattata in caso di vittoria elettorale delle sinistre. Un «golpe bianco», anticomunista e liberale, un’azione «violenta, spietata e rapidissima». Secondo le dichiarazioni di Luigi Cavallo, avrebbe dovuto essere «un golpe di destra con un programma avanzato di sinistra, che divida lo schieramento antifascista e metta i fascisti fuori gioco». Un colpo organizzato «con i criteri del Blitzkrieg: sabato, durante le ferie, con le fabbriche chiuse ancora per due settimane e le masse disperse in villeggiatura». Conseguenze immediate: lo scioglimento del Parlamento, la costituzione di un sindacato unico, la formazione di un governo provvisorio espresso dalle Forze Armate, che avrebbero dovuto attuare un «programma di risanamento e ristrutturazione sociale del Paese», una riforma elettorale-costituzionale da sottoporre a referendum, l’attuazione di una politica sociale avanzata che consentisse «il rilancio dello sviluppo economico». La lista del nuovo «governo forte» era pronta. Presidente del Consiglio: Randolfo Pacciardi; sottosegretari alla presidenza del Consiglio: Antonio de Martini e Celso De Stefanis; ministro degli Esteri: Manlio Brosio; ministro dell’Interno: Eugenio Reale; ministro della Difesa: Edgardo Sogno; ministro delle Finanze: Ivan Matteo Lombardo; ministro del Tesoro e del Bilancio: Sergio Ricossa; ministro di Grazia e Giustizia: Giovanni Colli; ministro della Pubblica istruzione: Giano Accame; ministro dell’Informazione: Mauro Mita; ministro dell’Industria: Giuseppe Zamberletti; ministro del Lavoro: Bartolo Ciccardini; ministro della Sanità: Aldo Cucchi; ministro della Marina mercantile: Luigi Durand de la Penne. Il governo di tecnici imposto dal «golpe bianco» sarebbe stato legittimato davanti all’opinione pubblica - nei progetti dei suoi strateghi - dalla contemporanea messa fuori legge del Msi e dei gruppi extraparlamentari di destra e di sinistra: ciò avrebbe dovuto garantire una sorta di equidistanza politica. La fine dell’immunità parlamentare e un tribunale speciale per i politici, accusati di essere corrotti e incapaci, avrebbero dovuto infine assicurare consenso al «rinnovamento» e una legittimazione «morale» alla svolta eversiva, presentata come intervento necessario per salvare il Paese.