FILM DIARY

 

 

 

 

“May, 1950

Saturday, finally, we got our own Bolex 16. Klybas lent us $200. Kavolis lent $20. Till now we have been using a rented one.

For three hours we stood watching the Loyalty Parade...”[1]

La carriera cinematografica di Mekas fu e sarà sempre legata in modo indissolubile a quella critica e letteraria. Le idee ed i temi discussi nelle poesie, nei diari e negli articoli di Jonas sono gli stessi trattati ed espressi nei suoi film: essi differiscono solo sul piano strutturale, infatti mentre gli scritti seguono un criterio cronologico ed autobiografico, i film sono composti da un insieme di fatti accaduti in un determinato periodo, ma che si susseguono  seguendo piuttosto un criterio tematico.

Il primo script che Jonas ed il fratello scrissero appena arrivati a New York, si intitolava  Lost, Lost, Lost, Lost (con quattro Lost per distinguerlo dalla  versione del 1975), e documentava la vita di alcune “displaced person” in America. Sostanzialmente, lo scopo di quest’opera era  quello di attirare l’attenzione su un fatto politico che riguardava le tre repubbliche baltiche, Estonia, Latvia e Lithuania, a causa del quale queste “displaced person” non potevano più fare ritorno nella propria terra d’origine.

“Our script was an angry outcry.”[2]

Inizialmente i due spedirono lo script a Robert Flaherty, ma questi sebbene l’avesse trovato interessante (“he liked the script and found it full of passion”[3]), rispose loro di non poterli aiutare. Decisi comunque a portare avanti questa impresa, i fratelli Mekas iniziarono a girare per conto proprio,

“Actually, two or three shots at the beginning of Lost, Lost, Lost are from the original footage we shot for that film. A slow-motion shot of a soldier (actually, Adolfas) and one or two others (a family reading a newspaper, a skating rink, a tree in Central Park) were meant for that film.”[4]

Poi per due anni Adolfas fu richiamato nell’esercito ed i due abbandonarono il progetto.

Jonas continuò a raccogliere materiale, documentando, questa volta senza un piano preciso, l’attività delle comunità lituane immigrate.

“I shoot footage of New York immigrant communities, and I did some weekend traveling to record communities in Chicago, Toronto, Philadelphia, Boston. I worked in Brooklyn factories and spent all my money on film.”[5]

I suoi primi lavori furono Grand Street (1953), un documentario su Brooklyn e Silent Journey (1955) un film poetico.

Grand Street è una delle vie principali di Williamburg, a Brooklyn, abitata da immigranti, e dove Mekas passava molto del proprio tempo.

“Around 1960 I took that film apart. It doesn’t exist anymore. Otherwise, I didn’t do anything with that footage.”[6]

Da queste prime brevi riprese si può notare come Jonas cercasse già di catturare la realtà direttamente senza troppi artifici tecnici (rifacendosi alle lezioni di Grierson e Rotha), ma con intenti poetici, come  “the beautiful sequence of the woman pruning trees, and the shot  of Adolfas in front of the merry-go-round.”[7]

“That shot of Adolfas was intended for our first “poetic” film. It had a title: A Silent Journey. We never finished it and some of the footage appears in reel three of Lost Lost Lost _the film within the film about the car crash.”[8]

Contemporaneamente a questi primi progetti infatti, Mekas aveva incominciato a collezionare un insieme di brevi riprese (I have been walking around with my Bolex and reacting to the immediate reality: situation, friends, New York, season of the year.”[9]) che, montate cronologicamente, faranno parte di un’importante opera  intitolata Lost, Lost, Lost.

 Dal momento però che Lost, Lost, Lost  verrà completato solo nel 1975,  il primo vero film di Jonas Mekas deve considerarsi Guns of the Trees del 1961.

“In the context of Mekas’s oeuvre, Guns of the Trees is an extended digression between the third and fourth reels of Lost, Lost, Lost. (Perhaps this is how it should be shown _as a sort of dream attempts to reconcile the conflict of Lost, Lost, Lost’s waking life.) The autobiography repeats footage and thems from the narrative _the woods, the wasteland, and particulary the political demonstrations. The passage in Lost, Lost, Lost introduced by the title “On the Outskirts of New York” and accompained by bits of Wagner’s “Parcifal” might precipitate Guns of the Trees’ hidden poetry.”[10]

Fino a questo momento Mekas aveva usato la propria Bolex senza un motivo preciso, riprendendo tutto ciò che lo circondava, in modo casuale. Con Questa prima opera il poeta lascia la penna per  affiancare i propri amici e colleghi in una guerra contro il sistema, che si combatte con tutti i mezzi possibili.

Guns of the Trees è un film realistico e al tempo stesso poetico, che denuncia la politica americana, ma non dimentica che per toccare veramente i cuori degli spettatori bisogna scendere fino alla loro anima attraverso i canali della poesia.

Il progetto immediatamente seguente a Guns of the Trees fu “The Secret Passion of Salvador Dalì”, girato fra il 1961 ed il 1963, seguendo l’artista a New York, ovunque egli andasse. Queste riprese furono in seguito edite con il titolo 100 Glipses of Salvador Dalì e si possono vedere nel film intitolato In Between. In esse si assiste a quelle che, denotate da un titolo, vengono chiamate “Artificial pose in surrealistric pose”, cioè a delle strane scene in cui Dalì e, in alcuni momenti anche Mekas, creano opere in movimento davanti all’obiettivo. Il tutto è accompagnato dalla voce del pittore e da una musica spagnola.

Nell’estate del 1963 una rivista, chiamata Show Magazine, commissionò a Mekas un film promozionale per certi prodotti pubblicizzati nel corso di alcuni eventi artistici. Il regista accettò la proposta di girare, ma già durante le prime riprese, sebbene avesse avuto delle precise richieste, egli decise di concentrarsi più sugli eventi che sui prodotti, andando contro a tutte le aspettative dei propri finanziatori. Il film che ne risultò fu quindi rifiutato; esso rimane un lavoro imperfetto, ancora ad un primo livello di stampa, che soffre in qualche modo di una pessima  qualità fotografia.

“Show Magazine needed a promotional film, and somebody suggested to them that I make it. I agreed to do it. They paid well. I conceived the film as a serial film magazine that would come out once a month, or every three month. We shot a lot of footage, with Show Magazine people always present, ways dropping issues of Show Magazine on the floor everywhere. When I screened the first draft of the film for them, they were shocked to see that I had eliminated all those magazines and much of the footage of fashion models they had me shoot (although you see some of that at the very end of the film). So that was the end of that project. I think that concept of a film magazine, had they really supported me, was a good one and would have received much better publicity than the kind of thing they wanted.”

“There are some parts I like very much; I like the whole thing, really. They seized the original right after the screening. They  were planning to hire their own editor to reedit the film their way. They also took all the outtakes, but decided finally not to do anything with it. All my prints are from the work print.”[11]

L’idea principale che Mekas voleva sviluppare in Film Magazine of the Arts era di riuscire a raggruppare tutti i modelli principali dell’arte contemporanea newyorchese, andando dalla Pop Art all’Happening, dal teatro sperimentale, alla musica d’avanguardia.  

Sempre nel 1963 Jonas collaborò anche alla realizzazione di Hallelujah the Hills, “a film which is both deliriously funny and ravishingly lyrical”, opera prima del fratello Adolfas Mekas, ed iniziò a girare un altro film, mai distribuito, intitolato “Fool’s Haikus”:

“It is an attempt to create the cinema equivalent of the haiku, a three-line, 17-syllable Japanese poem which compresses emotion into a brief image. This film frequently intercuts black and white images of winter with color shots of summer and fall. The sound track is sometimes a single note held for ear-piercing length....

Orininally I was going to use my own thinkings _Mekas says_ then I  heard this girl’s tape and I wanted to put the text up there to describe what she went through. She seemed more sincere than someone reading my writings. I worked in sentences and paragraphs in this film. That is why there are black screens between passages.

The stimulus was the two girls in it. One was just out of an insane asylum and the other was just about to go in. Both are out now.” [12]

Del 1964 sono invece il cortometraggio Award Presentation to Andy Warhol (12 min., in b/n) ed il film-documento The Brig (68 min. b/n).  

Nel 1969 grazie ad un finanziamento privato, Mekas fu in grado di finire e produrre la sua prima opera diaristica intitolata Walden che raggruppa sezioni di filmati girati tra il 1964 e il 1969. Nella prima parte di questo lungometraggio egli inserì tra gli altri alcune sequenze prese da cortometraggi precedentemente distribuiti, e montati in modo differente, per via della loro lunghezza. Questi sono Report from Millbrook, Hare Krishna, Notes on the Circus e Cassis tutti girati nel 1966 .

La principale differenza che esiste nel vedere questi cortometraggi individualmente e all’interno di Walden, sta nel diverso significato che essi acquisiscono. Nel primo caso essi vengono denominati “film diary” e come tali rappresentano un evento personale dell’autore, ripreso senza alcun collegamento immediato con il resto della sua vita: vederne uno è  come leggere una sola pagina di un intero diario. Nel secondo caso si  ha a che fare invece con il “diary film”, in cui le varie sequenze sono collegate ed in relazione ad altre, continuamente a confronto con avvenimenti passati o futuri della vita di Mekas.

Sempre in questo periodo Mekas girò altri due cortometraggi, meno conosciuti dei precedenti: The italian Notebook (14-3/4 min.) del 1967 e Time & Fortune Vietnam Newsreel (4 min.) del 1968.



[1] Mekas, Jonas, I Had Nowhere to Go , Black Thistle Press, New York City, 1991, pag. 316.

 Traduzione:

“ Maggio 1950

Sabato, finalmente, abbiamo preso una Bolex 16 tutta per noi. Klybas ci ha prestato 200 dollari. Kavolis 20. Fino ad ora ne abbiamo usata una in affitto.

Per tre ore siamo stati a guardare la Loyalty Parade...”

[2] MacDonald, Scott, “Interview with Jonas Mekas”, in October 29, Summer 1984, pag.84.

Traduzione: “Il nostro testo era un grido arrabbiato.”

[3] Ibidem, pag. 85.

Traduzione: “Il testo gli piacque e la trovò pieno di passione”.

[4] Ibidem, pag. 85.

Traduzione: “ Veramente, due o tre riprese all’inizio di Lost Lost Lost provengono dalle scene originali che girammo per questo film. Una ripresa rallentata di un soldato (Adolfas) ed uno o due ( una famiglia che legge il giornale, una pista di schettinaggio, un albero in Central Park) furono destinate per questo film.”

[5] Ibidem, pag. 85.

Traduzione: “ Riprendevo le comunità di immigranti di New York, e passai alcuni fine settimana viaggiando per riprendere le comunità di Chicago, Toronto, Philaddelphia, Boston. Lavoravo in una fabbrica a Brooklyn e spendevo tutti i soldi nei film.”

[6] Ibidem, pag. 83.

Traduzione: “ Intorno al 1960 misi questo film da parte. Esso non esiste più. Comunque non feci nulla con quelle riprese.”

[7] Ibidem, pag. 86.

Traduzione: “ le bellissime sequenze di una donna mentre pota un albero, e le riprese di Adolfas  mentre girovagava.”

[8] Ibidem, pag. 86.

Traduzione: “ Quella ripresa di Adolfas fu intesa per il nostro primo film poetico. Esso aveva un titolo: A Silent Journey. Non lo abbiamo mai finito e alcune delle inquadrature appaiono nel terzo rullo di Lost Lost Lost _il film all’interno del film circa lo scontro di auto.”

[9] Sitney, P. Adams, Visionary Film, The American Avant-Garde 1943-1978, Second Edition, Oxford University Press, New York, 1979, pag. 361.

Traduzione: “ Giravo con la mia Bolex e reagivo con la realtà immediata: situazioni, amici, New York, le stagioni dell’anno.”

[10] James, David E., To Free the Cinema, Jonas Mekas & The New York Underground, Princetown University Press, Princetown, New Jersey,1992, pag. 115.

Traduzione: “Nel contesto delle opere di Mekas, Guns of the Trees, rappresenta una digressione estesa tra il terzo e il quarto rullo di Lost Lost Lost. (Probabilmente questo è come dovrebbe essere visto _come una sorta di sogno che cerca di riconciliare i conflitti della vita di Lost Lost Lost). Il film autobiografico ripropone scene e temi di quello narrativo _le foreste, le terre deserte e in particolare le dimostrazioni politiche. Il passaggio in Lost Lost Lost introdotto “On the Outskirts of New York” e accompagnato da brani del Parsifal di Wagner, serve ad aumentare la poesia nascosta di Guns of the Trees.”

[11] MacDonald, S., “Interview with Jonas Mekas” op. cit., pp. 102-103.

Traduzione: “Show Magazine aveva bisogno di un film promozionale, e qualcuno suggerì loro che potevo farlo io. Io fui d’accordo. Concepii il film come una rivista filmata seriale che sarebbe uscita una volta al mese, o una ogni tre. Noi girammo molto materiale, con le persone di Show Magazine sempre presenti che ci portavano in vari posti. Quando iniziai a girare notai che essi lasciavano sempre ovunque delle copie di Show Magazine sul pavimento. Quando gli mostrai il primo girato essi furono sorpresi nel vedere che avevo eliminato tutte quelle riviste e la maggior parte delle riprese delle fotomodelle che mi avevano mandato (tuttavia se ne può vedere alcune alla fine del film). Così quella fu la fine del progetto. Penso che l’idea che volevo sviluppare con questa rivista fosse buono e avrebbe ricevuto più pubblicità che con il tipo di lavoro che volevano loro. Ci sono alcune parti che mi piacciono molto; mi piace l’intero progetto, veramente. Essi si impadronirono dell’originale dopo la visione. E pensarono di convincere il loro editore a rieditare il film nella loro maniera. Essi presero inoltre tutto il mio materiale ma alla fine decisero di non farne nulla. Tutte le mie copie derivano da quel primo lavoro di stampa.”  

[12] Mark, Norman, “A Meeting with Mekas: ‘I Have These Six Films’”, in Chicago Daily News, March 4, 1967.

Traduzione: “E’ un tentativo di creare l’equivalente cinematografico degli haiku, un poema giapponese in tre versi e 17 sillabe che riassume le emozioni in brevi immagini. Questo film alterna frequentemente immagini in bianco e nero prese d’inverno con immagini a colori girate a fine estate. La colonna sonora è talvolta composta da una nota singola tenuta per uno spazio di tempo insopportabile. Originariamente intendevo usare i miei stessi pensieri, dice Mekas, poi sentii le registrazioni di questa ragazza e volli mettere il testo giù per descrivere a cosa andava in contro. Sembra più sincera di chiunque altro che avesse letto i miei scritti. Lavorai per periodi e paragrafi in questo film. Questo spiega perché ci sono schermi neri tra i passaggi. Lo stimolo mi venne dalle due ragazze. Una era appena uscita da un manicomio ed una ci stava per entrare. Adesso sono entrambe fuori.”

Copyright © 1996-2000 [ Patrizia Daturi ]. Tutti i diritti riservati.
Aggiornato il: 06-05-2001 .