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Dagli atti del convegno”Il settore idroelettrico camuno: problemi e prospettive di utilizzo”, pubblicato sul “Quaderno n° 2 – appunti – numero unico 1994", a cura del Circolo Culturale Ghislandi. Su gentile segnalazione di Franco Pelosato.

L’industria idroelettrica valligiana dalle origini agli anni ‘50

DI CINZIA ARZU

La nascita dell’industria elettrica in Valle Camonica risale ai primi anni del nostro secolo, anche se bisogna ricordare la cosiddetta “fase pionieristica”, in cui sorgono in Valle alcune piccole cooperative di elettricità, è da far risalire all’ultimo decennio dell’ottocento. La prima in ordine di tempo, la “Società cooperativa brenese”, che viene fondata nel 1888 ad opera di alcuni imprenditori e professionisti camuni. All’atto di formazione il suo capitale era di 30.000 lire e la sua finalità quella di fornire energia elettrica per illuminazione, attraverso una sua centralina, a Breno. Vanno inoltre ricordate anche la Società Elettrica in Borno, nata nel 1904 e la Cooperativa Unione Elettrica Edolo-Mù del 1897. La fase delle cooperative dera circa 15/20 anni, poi queste, un po’ alla volta vengono assorbite da quelle società elettrocommerciali che saranno protagoniste dello sfruttamento delle risorse idriche della Valle fino al momento della nazionalizzazione nel 1963. L’insediamento della vera e propria industria elettrica in Valle si può far risalire solo dal 1907, quando si insediano la Società Generale Elettrica dell’Adamello e la Società Elettrica Bresciano. 

La prima nasce a Milano appunto nel 1907 con ingenti capitali della Banca Commerciale, della Edison, di banche belghe, delle imprese elettriche Conti e della famiglia Stucchi Prinetti. (Fino agli anni sessanta il sentiero pianeggiante che dal Vertice Q – sopra Isola – va fino in Adamé, fiancheggiando il tracciato della galleria di derivazione dell’impianto di Campellio, veniva chiamato “vià de Stuchi”). 

La società elettrica Bresciana, nata nel 1905 a Brescia dalla trasformazione della società in accomandita “Porta & C”, contava su un capitale proveniente in maggioranza da imprenditori milanesi e varesini e solo per circa il 30% bresciano. Quest’ultima inizierà ad operare in Valle verso il 1907, sfruttandole acque dell’Oglio e dei suoi affluenti di destra, ma avrà sempre un ruolo minore rispetto alla SGEA. Si tratta della centrale di Cedegolo, che in futuro diventerà Museo dell’energia idroelettrica. Saranno queste due società elettrocommerciali, che faranno la storia dell’industria elettrica in Valle; in particolare la SGEA nel giro di pochi anni riuscirà ad ottenere la maggioranza delle concessioni di derivazione d’acqua dl fiume Oglio e dei suoi affluenti di sinistra. 

Percorrere le vicende finanziarie di questa società sarebbe troppo lungo, vorrei quindi solo accennare ad alcune tappe fondamentali della loro storia. La SEB dal 1917, pur mantenendo la propria ragione sociale, passerà sotto il diretto controllo della Edison, che diventa azionista di maggioranza. La SGEA, invece, nel 1933 con una manovra finanziaria della Edison, che diviene azionista di maggioranza, cambierà nome e ragione sociale in “Società Generale Elettrica Cisalpina”. Nel corso della seconda guerra mondiale poi la Cisalpina verrà assorbita a tutti gli effetti dalla Edison. Parlare dell’industria elettrica in Valcamonica, significa quindi seguire le politiche finanziarie messe in atto dalla Edison. 

E’ necessario infine fare almeno un cenno ad un’altra società che in Valcamonica ha rivestito una certa importanza: La Società Elettrica di Valle Camonica (ELVS). Nata nel 1907 dalla trasformazione della società cooperativa elettrica brenese, con capitale locale, nei primi anni del secolo assorbe quasi tutte le cooperative della Valle. A differenza delle altre società sopra citate la ELVA si occuperà sostanzialmente di fornire energia elettrica attraverso la sua centrale di Niardo ai Comuni valligiani. Essa difenderà strenuamente la sua autonomia fino al 1948, quando dovrà al fine sottostare alla logica di accentramento della Edison: il pacchetto di maggioranza verrà infatti acquistato dalla SEB, vale a dire ancora una volta dalla Edison. Dopo questa breve presentazione delle principali vicend finanziarie delle società elettrocommerciali che hanno operato in Valle, credo che sia importante accennare, anche se per sommi capi, all’impatto dell’insediamento e dello sviluppo dell’industria idroelettrica in zona.

Nel primo tentennio del secolo, le società incontrarono in Valle atteggiamenti assai diversi nei loro confronti. Da una parte infatti abbiamo alcune categorie sociali che si oppongono decisamente alla costruzione degli impianti idroelettrici ; in particolare sono i pastori e i contadini dell’alta valle a mostrare ostilità. La costruzione dei bacini artificiali per la derivazione delle acque potevano colpire alcuni loro interessi: venivano danneggiati i pascoli o i piccoli appezzamenti di terra su cui il contadini camuno doveva vivere. Dall’altra parte abbiamo le amministrazioni locali, che inoltravano spesso istanze di opposizione alla costruzione di impianti, nella speranza poi di riuscire ad ottenere dei risarcimenti; ma erano anche consapevoli della propria debolezza rispetto al capitale e alle grandi società elettrocommerciali, e incapaci di fare realmente gli interessi della popolazione che rappresentavano. 

D’altra parte nei momenti di particolare crisi erano le prime a chiedere a gran voce la costruzione di nuovi impianti, come possibile sbocco occupazionale per le centinaia di persone altrimenti costrette ad emigrare. Infine non va dimenticato che la normativa in materia di derivazione d’acqua a scopo di produzione di energia elettrica era molto generica e lasciava ampio marine di gioco alle società elettrocommerciali. Le pratiche per ottenere la concessione di derivazione delle acque erano in genere piuttosto lunghe, ma si potevano sveltire ed avere la precedenza su possibili concorrenti inserendo clausole specifiche . Se la produzione di energia elettrica era destinata allo sviluppo allo sviluppo industriale della zona in cui doveva sorgere la centrale tutto veniva accelerato e semplificato. 

Ebbene, in tutte le richieste di concessione di derivazione d’acqua che ho potuto consultare si trova che la dichiarazione che la centrale in progetto doveva servire principalmente per fornire energia elettrica a fantomatiche fabbriche che sarebbero sorte nei più svariati luoghi della valle. Nei documenti dell’epoca, si legge quindi che dovevano essere edificate fabbriche che avrebbero dato lavoro a circa mila persone in Valsaviore o a Cedegolo, luoghi dove era assolutamente impensabile che potessero essere costruiti cotonifici (perché di questo soprattutto si fa menzione) di tali dimensioni. In effetti, di fabbriche nei luoghi indicati non ne vennero mai costruite ( e non avrebbe neanche avuto senso sperarci); era solo una prassi per accelerare le pratiche. Una postilla in fondo alla richiesta di concessione diceva, infatti, che “qualora non ci siano le condizioni economiche per la costruzione di detta fabbrica, l’energia elettrica che sarà prodotta dalla centrale sarà trasportata all’impianto di distribuzione di Sesto S. Giovanni per la fornitura di Milano e dintorni”. Alla fine quindi tutta l’energia veniva trasportata fuori dalla Valcamonica e i benefici apportati dalla costruzione degli impianti si riducevano solo all’impiego temporaneo di mano d’opera non qualificata. Afine lavori venivano rispediti a casa, anche perché, come si sa, l’industria idroelettrica necessita di un numero assai limitato di personale; anche se nei primi anni del secolo, indubbiamente, le persone che venivano occupate a guardia dei bacini e delle centrali erano molte di più di quelle occupate oggi. 

Vi furono quindi delle grosse delusioni da parte degli amministratori locali e della stessa popolazione che speravano nella costruzione delle centrali come possibile “volano” per lo sviluppo della Valle. Ecco allora che le ripetute delusioni per il mancato mantenimento degli impegni acuisce ancora di più l’ostilità della popolazione tanto da sfociare in alcuni casi di veri e propri sabotaggi. Soprattutto in Valsaviore negli anni’20 e’30 la popolazione mal sopporta di vedersi privata dell’acqua di alcune fontane dove vanno ad abbeverare gli animali, o dell’acqua per irrigare i campi. 

Le amministrazioni, in generale, non riescono ad approfittare di queste concessioni d’acqua per ottenere sostanziosi risarcimenti o vantaggi d’altro genere. Ricordiamo infatti che nel 1933 il R.D. 11/12/1933 n° 1775, diede una nuova regolamentazione delle acque, prevedendo indennizzi ai comuni sul cui territorio vi erano impianti o passavano canali di derivazione. Non solo, si prevedeva anche che una certa quantità di energia potesse essere utilizzata in loco. Ebbene, sembra che pochissimi Comuni della Valle abbiano approfittato di questa legge per riuscire a mantenere in loco un certo quantitativo di energia, che poteva servire per l’illuminazione pubblica e privata, per lo sviluppo di laboratori artigiani o piccole industrie. Al termine della seconda guerra mondiale la situazione economica della Valcamonica si presentava assai grave e la necessità di trovare sbocchi occupazionali per migliaia di persone era un problema che assillava amministrazioni, sindacati, partiti politici, clero locale. Ecco allora rispuntare la prospettiva di costruzione di nuovi impianti idroelettrici le cui concessioni erano già state ottenute dalla Edison prima o durante la guerra. 

Il paese in effetti aveva una estrema necessità di energia elettrica per la ripresa e per accelerare il processo di ricostruzione, quindi sembrava non dovessero esserci ostacoli all’apertura dei cantieri, anzi poteva essere considerata una priorità. In effetti le cose non erano così semplici: la Edison, che ormai operava in regime di monopolio, sottopose il governo per due anni a pressanti ricatti su due piani: la nazionalizzazione e lo sblocco o la liberiralizzazione delle tariffe elettriche. Solo nel 1947 quando ebbe la sicurezza che il settore non sarebbe stato nazionalizzato si decise ad appaltare la costruzione di nuovi impianti idroelettrici; così anche in Valcamonica si diede il via alla realizzazione dell’impianto di derivazione delle acque del fiume Oglio e del Poglia, e della centrale di Cedegolo II. 

Rimaneva però insoluto il problema dello sblocco delle tariffe elettriche ; e questa fu la seconda arma di ricatto anche negli anni seguenti; ogni volta che la richiesta di nuovi aumenti non veniva accolta si minacciava o si chiudevano direttamente i cantieri, interrompendo così le costruzioni e mandando a casa centinaia di operai. Intorno al 1949 si avvieranno anche i lavori per la realizzazione del bacino artificiale del Pantano d’Avio in Alta e, alcuni anni più tardi, di quello del Venerocolo. La storia di questi impianti è sicuramente travagliata, perché numerose furono le interruzioni dei lavoratori, ma anche assai drammatica: i costi, infatti, furono pesanti. Coloro che furono impegnati negli scavi in galleria per il canale Sonico Cedegolo contrassero in gran numero la silicosi, che li portò in pochi anni all’incapacità di lavorare e ad una morte precoce. Tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50 vennero costruiti in Valle anche altri impianti: il canale Esine – Pisogne della società ILVA, Mantelera della Tassara e quello del Lanico della ELVA. Insomma, la Valcamonica era tutta un cantiere e fino al 1951 il problema della disoccupazione fu meno pressante, ma in quell’anno alcuni imoianti vennero terminati e gli operai licenziati; si calcola che verso la fine del 1951 fossero circa 10.000.

A ciò si deve aggiungere che i danni all’agricoltura e alla pastorizia, provocati dagli scavi eseguiti su terreni coltivabili furono abbastanza gravi. I maggiori impianti in questo periodo furono infatti costruiti a fondo valle, dove maggiore era il valore dei terreni. La preoccupazione delle forze politiche e sindacali a questo punto fu quella di non arrivare più alla situazione d’anteguerra, quando la costruzione degli impianti non aveva fruttato alla zona che occupazione temporanea e danni alle zone di montagna. Ecco quindi che dal 1951 si aprì una nuova fase in cui amministratori, sindacati, partiti politici iniziarono a muoversi affinché i Comuni montani sui cui territori si trovavano gli impianti idroelettrici venissero maggiormente tutelati. Finalmente nel 1953 venne approvata la legge istitutiva dei Bacini Imbriferi Montani (BIM): da allora non furono più i singoli Comuni a stipulare contratti con le società elettrocommerciali, ma tale compito passò direttamente al nuovo organismo ove erano rappresentati tutti i comuni della valle, da Ponte di Legno a Piancamuno. E’ questo nuovo Consorzio (il BIM) che sottoscrive ora con le società un unico contratto per il pagamento di un sovracanone con il quale si intendono indennizzare tutti i Comuni partecipanti. I rapporti tra il BIM e le società elettrocommerciali sarebbero sicuramente un capitolo assai interessante, ma richiederebbero maggior tempo e spazio e un’analisi che comprenda non solo il passato ma anche l’oggi.      


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Daniela Rossi © 2000

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