Il Cinema e la psichiatria

 

Questa pagina vuole essere solo uno spunto di riflessione su un tema sicuramente molto più ampio e complesso rispetto a quanto di seguito verrà detto; ma la cosa importante è il messaggio di curiosità e di interesse per ciò che in psichiatria ed in psicoterapia viene definita "immagine in movimento", elemento fondamentale della realtà interna dell'essere umano e, a quanto sembra, elemento indispensabile della cinematografia di tutti i tempi.

Gli psichiatri hanno studiato i film e i film hanno ritratto gli psichiatri. La psichiatria e il cinema hanno tentato di penetrare il contenuto apparentemente causale della vita di ogni giorno e di rivelare i segreti del carattere umano. I film sono divenuti il grande magazzino delle immagini che popolano l'inconscio. In effetti, ben più di quattrocento film che attraversano tutto lo spettro dei generi hollywoodiani fanno un qualche uso della psichiatria. 

Schneider (1985) ha diviso tutti gli psichiatri cinematografici in tre categorie: il dottor Dippy, il dottor Malvagio e il dottor Meraviglioso. Wood suggerisce che il divertimento nel vedere un film con tematiche di questo genere, non costituisca tanto una fuga dai problemi, ma piuttosto un “riordinamento dei nostri problemi in forme che li ammorbidiscono e li relegano ai margini della nostra attenzione”.

I più popolari film statunitensi evitano spesso di rispondere alle questioni più difficili spostandole nel melodramma, dove le soluzioni vengono trovate con maggior facilità. Poiché il melodramma colloca il centro di gravità di un  film nelle decisioni di un singolo individuo, i film americani rinforzano la credenza spesso paradossale che la risposta – e da ultimo la soluzione – di ogni cosa risieda in noi stessi. Le consultazioni psichiatriche hanno offerto agli autori del film un meccanismo perfetto per portare alla luce oscuri segreti e per semplificare l’esposizione. In anni più recenti gli psichiatri, come personaggi cinematografici, sono divenuti veicoli più raffinati ma non meno convenzionali per l’esposizione e lo sviluppo del personaggio.

Le schiave della città (1944) di Mitchell Leisen introduce alcune convenzioni: lo psichiatra che accelera lo svolgimento della trama, lo psichiatra come portavoce dell’ideologia dominante, così come lo psichiatra capace di ottenere una guarigione sensazionale dopo che è riemerso un trauma rimosso nell’infanzia. Le schiave della città viene ricordato soprattutto per le sue scene ad effetto; il dottor Brooks può essere visto come un tipo particolare di ficelle - l'analista meccanismo della trama. La piattezza del personaggio pare il risultato logico della sua presenza meccanica. Chiamiamo questo tipo di personaggio lo psichiatra senza volto. Le schiave della città fallisce come film, ma introduce alcune importanti convenzioni come quella della ficelle senza volto, dello psichiatra che agisce per conto della società e della semplice cura basata sul ricordo delle memorie infantili.

I miti nel cinema americano svolgono questa antica funzione: ci permettono di convivere con elementi contraddittori, di salvare le nostre illusioni riconoscendo nello stesso tempo i nostri limiti. Quando un film parteggia per la psichiatria, di solito lo psichiatra senza volto e funzionale, porta a termine il proprio lavoro velocemente. Quel certo non so che (1963) di Norman Jewison e Splendore nell'erba (1961) di Elia Kazan ci parlano di protagonisti avviati al superamento dei loro problemi dopo pochi minuti di film in compagnia dei loro psichiatri. Quando i "buoni" psichiatri svolgono un ruolo più importante e il pubblico ha l'opportunità di vederli lavorare attivamente, essi sono profondamente coinvolti dai loro pazienti e le loro cure di solito funzionano. Per quanto riguarda invece gli psichiatri "cattivi", quando li vediamo impegnati attivamente nel loro lavoro possono risultare manipolatori, vendicativi, disonesti e avari o semplicemente corrotti. 

Una delle accuse più comuni mosse contro gli psichiatri è che essi fanno mostra di un sapere che non hanno. La convenzione dello psichiatra come "braccio della società" merita una riflessione più dettagliata. In un film come Le schiave della città, che ci chiede di accettare l'ideologia dominante, la psichiatria aiuta gli individui confusi a vivere più felicemente in una società vista come positiva. I film americani ritraggono spesso gli psichiatri come eccentrici o bizzarri. Quando gli psichiatri eccentrici vengono visti sotto una luce più negativa, vengono ritratti come più nevrotici dei loro pazienti e a loro volta bisognosi di trattamento. La vita emotiva degli psichiatri viene valutata in modo meno chiaro nei film in cui si innamorano di qualche paziente. In questi casi è più difficile distinguere i "buoni" psichiatri da quelli "cattivi". Tuttavia, agire in base a desideri sessuali di controtransfert è rigidamente proibito. Questo divieto viene spiegato chiaramente a Ingrid Bergman in Io ti salverò (1945) di Alfred Hitchock, a Jason Robards Jr. in Tenera è la notte (1962) di Henry King. In ognuno di questi casi, un mentore o un collega mettono in guardia lo psichiatra incline al romanticismo riguardo ai pericoli di innamorarsi di un paziente. Questi e altri film contribuiscono alla demedicalizzazione della psichiatria, suggerendo che le persone disturbate hanno bisogno solo d'amore e che, se gli psichiatri hanno davvero a cuore i loro pazienti, li possono salvare fornendo loro amore, anche se devono così rinunciare alla professione e alla possibilità di guarire chiunque altro. Che si tratti di Ingrid Bergman in Io ti salverò del 1945 o di Madeleine Stowe in L'esercito delle dodici scimmie del 1995, una terapeuta che si innamora farà di tutto per salvare la persona che ama. Entrambi i filma affermano che, per una donna, la professione psichiatrica può essere un'estensione degli istinti materni.

Nei film polizieschi, gli psichiatri hanno successo nella loro professione tanto quanto nel lavoro investigativo. Quando gli psichiatri sono malvagi o si sbagliano, essi si ergono a ostacolo sul percorso del lavoro investigativo degli eroi protagonisti del film. 

Halloween: la notte delle streghe (1978) di John Carpenter è forse unico nel mettere dei discorsi sul Male in bocca allo psichiatra interpretato da Donald Pleasance. La polizia e l'infermiera dello psichiatra vedono l'assassino semplicemente come un altro folle. Il film è un raro esempio di film dell'orrore e nel contempo di fiction scientifica in cui uno psichiatra non è l'ultimo a riconoscere l'esistenza di forze non naturali. I film dell'orrore e di fiction scientifica sostengono invariabilmente che la psichiatria non può penetrare al di là della superficie. 

Negli anni cinquanta, l'industria cinematografica scoprì che gli psichiatri potevano legittimare il sesso nei film. Three Nuts in Search of a Bolt, Loves of a Psychiatrist fecero parte di una fioritura di pellicole "senza veli" che utilizzavano ampiamente la psichiatria per mostrare scene di sesso dando comunque al film una parvenza di "recupero dei valori sociali". A un livello appena più sofisticato, gli psichiatri svolsero la stessa funzione nelle socialmente più accettabili "commedie a sfondo sessuale" tra il finire degli anni cinquanta e l'inizio degli anni sessanta. La psichiatria conferiva un'apparenza di legittimità al voyeurismo di film come In licenza a Parigi (1958), Le cinque mogli dello scapolo (1963), Donne, v'insegno come si seduce un uomo (1964), e Una ragazza da sedurre (1965). 

Specialmente durante gli anni quaranta e cinquanta, Hollywood rivolse la sua attenzione ai film sui "problemi sociali". Insieme a temi come l'alcoolismo, il razzismo e l'omosessualità, in questo genere di film fu esplorata e spesso sfruttata anche la malattia mentale. I film di questo tipo finivano spesso con una nota ottimistica cosicché il pubblico potesse andarsene rassicurato e tranquillizzato dalle proprie angosce. benché nei film sulla malattia mentale si mostrasse un problema sociale con un disperato bisogno di cure psichiatriche, e benché i professionisti della salute mentale fossero divenuti i soggetti che più attivamente concorrevano alla soluzione da parte della società dei suoi problemi, le conclusioni di questi film erano raramente convincenti. In pochi anni il pubblico fu testimone dei successi della psichiatria in La donna dai tre volti (1957), Prigioniero della paura (1957), Il marchio (1967) e David e Lisa (1962). Talvolta nel medesimo film ci si concentrava su più problemi sociali: Odio (1949) e La scuola dell'odio (1962) ad esempio, entrambi prodotti da Stanley Kramer, affrontavano sia la malattia mentale che il razzismo benché con diversi livelli di ambiguità. 

Un altro genere di pellicola è costituito dai film sugli istituti manicomiali, un sottogenere dei film di ambiente carcerario. Questo sottogenere ha poco in comune con il cinema generico sugli ospedali come Men in White (1934) e The Interns (1962) che idealizza i poteri di guarigione dello staff di un istituto. L'esempio più famoso di film su un manicomio è Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975), in cui l'istituto viene ritratto esplicitamente come peggiore di una prigione. In questi film sono spesso centrali gli elementi più sensazionali del trattamento psichiatrico: Il corridoio della paura (1963), Elettroshock (1964), The Fifth Floor (1980) e Frances (1982), così come Il nido del cuculo, sfruttano tutti al massimo l'elettroshock e le iniezioni di insulina. Anche quando in questi film i pazienti non vengono sottoposti all'elettroshock o alla lobotomia, non riescono comunque a trarre beneficio dal loro internamento. Come i film sulle prigioni, anche quelli sui manicomi si confrontano con il mito americano della libertà. Gli anni 1966 e 1967 videro l'uscita di due film completamente diversi, ma che nondimeno appartengono al genere di film sui manicomi: sia nel "teatro della crudeltà" del Marat/Sade (1967) sia nel  documentario Titicult Follies (1967), ci sono pochi indizi che gli ospiti degli istituti trarranno giovamento dalla loro istituzionalizzazione. Coerentemente con la loro tendenza a demedicalizzare la psichiatria, i film hanno quasi sempre fornito un'impressionante sovrarappresentazione della "cura della parola" e un'altrettanto impressionante sottorappresentazione di trattamenti come l'elettroshock e la farmacoterapia. Anche se l'introduzione di medicine efficaci ha rivoluzionato la psichiatria americana, gli psichiatri cinematografici le prescrivono raramente. In effetti la psichiatria americana, negli ultimi tre decenni, è stata caratterizzata da un forte movimento di "rimedicalizzazione". E' diminuito l'interesse per la psichiatria psicoanalitica. In ogni caso non c'è dubbio che la psicoterapia venga ancora raffigurata come la pratica terapeutica predominante o esclusiva della grande maggioranza degli psichiatri cinematografici. L'elettroshock è stato rappresentato un po' più spesso nei film, di solito come punizione. In film sui manicomi, l'elettroshock viene usato in modo malvagio per indurre un comportamento socialmente appropriato. In La fossa dei serpenti (1948) l'elettroshock viene fatto apparire grottesco. Tuttavia dopo averne sfruttato gli aspetti melodrammatici,  prosegue riconoscendo gli effetti positivi dell'elettroshock. Benché abbia una forza assai minore dell'elettroshock, gli autori dei film sembrano preferire la cura della parola caratteristica di psicoterapia e psicoanalisi. Di conseguenza, i registi hanno sviluppato una convenzione: il metodo catartico, cioè guarigione improvvisa e drammatica della malattia mentale. Lo psichiatra non è essenziale per guarigioni catartiche di questo tipo. Pochi terapeuti praticanti danno notizia di episodi catartici come quelli raffigurati nei film. E sono ancora più rari gli esempi della vita reale in cui l'improvvisa rievocazione di ricordi rimossi abbia un valore curativo. 

Nel suo lavoro embrionale del 1895, Studi sull'isteria, Freud ha ipotizzato che i sintomi dell'isteria fossero causati da ricordi traumatici rimossi. La cura, dal suo punto di vista, era far riemergere questi ricordi. Freud capì presto che la semplice rievocazione di questi ricordi di fatto non curava. Proseguì allora sviluppando la tecnica molto più sofisticata e complessa di analizzare le resistenze e il transfert così come esse si sviluppavano nella situazione analitica. Nei film la maggior parte delle raffigurazioni positive della psicoterapia e della psicoanalisi si riducono alla loro capacità di far riaffiorare un ricordo traumatico. Un esempio classico è il film La donna dai tre volti  (1957) di Nunnally Johnson, la storia vera di una donna che soffriva di personalità multipla (quello che oggi chiamiamo disturbo dissociativo dell'identità). Benché La donna dai tre volti sia basato su un racconto vero, rientra assai bene nelle funzioni mitologiche della psichiatria. La maggior parte degli psichiatri vede raramente una personalità multipla, e ancor meno qualcosa di simile a una cura come questa. In effetti quando la "Eve" della vita reale, Chris Costner Sizemore, pubblicò la sua autobiografia (1977), rivelò che la rievocazione catartica del ricordo traumatico rimosso non aveva condotto a una soluzione duratura della sua sindrome di personalità multipla. Seguendo il trattamento raffigurato nel film, negli anni seguenti erano apparse altre personalità (in tutto ventidue). Dopo un tentativo di suicidio e una terapia intensiva, alla Sizemore sembrò di raggiungere una guarigione duratura nel 1974. Inoltre ella rivela che nella sua infanzia erano avvenuti altri eventi traumatici significativi al di là di quello ritratto nel film. Questa rivelazione è molto più in armonia con la nostra comprensione attuale della personalità multipla; infatti sembra che la sindrome sia il risultato di una struttura di incidenti ripetuti, piuttosto che di un unico evento traumatico. 

In alcuni casi le cure catartiche non implicano il riaffiorare del ricordo traumatico dell'infanzia come in Odio (1949) di Mark Robson. Il modo in cui viene somministrata la cura invita il pubblico a confrontarsi con gli effetti sgradevoli dei pregiudizi razziali verso le persone di colore sostenendo nel contempo l'idea politicamente complementare che si possa fare qualcosa per guarire le ferite inflitte dall'odio razziale. In Odio, il metodo catartico offre uno strumento cinematografico efficace per sostituire i problemi imbarazzanti del razzismo con la storia edificante della drammatica guarigione di un soldato dalla paralisi. Guarigioni istantanee compaiono anche nel film di gangster All'alba non sarete vivi  (1948) di Rudolph Matè.

Si sarebbe tentati di spiegare la preminenza del metodo catartico come semplicemente emblematica del modo in cui, in un determinato periodo storico, il cinema ha raffigurato la psichiatria. Tuttavia una rapida occhiata a un film vincitore dell'Oscar nel 1980 rivela che non è così. L'improvvisa guarigione di Conrad jarrett (Tymothy Hutton) in Gente comune  è strettamente collegata a un episodio di catarsi.

La terapia con l’elettroshock e il metodo catartico non sono gli unici trattamenti divenuti convenzionali nei film americani. Anche il semplice consiglio basato sul buon senso viene ritratto spesso come essenziale nella tecnica psicoterapeutica. Questo trattamento è coerente con il mito cinematografico dell’aiutarsi da sé, ma soprattutto con l’idea che i pazienti non abbiano alcuna responsabilità nella propria malattia. I disturbi psichiatrici sono causati da genitori cattivi e la cura si attua convincendo il rampollo innocente che deve dimenticare il padre o la madre. 

La prima apparizione di uno psichiatra risale a un film americano del 1906. Dr. Dippy’s Sanitarium che raffigurava un ospedale psichiatrico come un manicomio soggetto agli improvvisi colpi di mano dei suoi inquilini. Dr. Dippy’s Sanitarium vale anche come primo esempio di un’ambivalenza verso la psichiatria che attraversa l’intera storia del cinema americano. E’ evidente che l’istituto del dottor Dippy non è votato alla cura dei pazienti, ma il direttore non li maltratta e anzi li tratta con un certo rispetto quando li presenta educatamente uno alla volta al nuovo sorvegliante. Il dottore è anch’egli “picchiatello”.

Agli albori del cinema americano il campo d’azione degli psichiatri veniva confuso regolarmente con quello di ipnotismi, chiaroveggenti e altri dubbi specialisti, e questo creò un modello per la demedicalizzazione della psichiatria.

L’esiguità della presenza degli psichiatri nei film dell’età del muto non rispecchia una loro scarsa importanza. I film, forse a causa del conservatorismo dei produttori, non sfruttarono al massimo le grandi possibilità cinematografiche offerte dalla psichiatria. Anche quando gli psichiatri cominciarono a comparire più regolarmente nei film sonori degli anni trenta e quaranta, vennero inseriti quasi sempre in sceneggiature adattate da commedie e romanzi.

Gli anni trenta videro con Reunion in Vienna (1933) e Mondi privati (1935), anche i primi tentativi di affrontare seriamente la psichiatria in un film americano. Reunion in Vienna (1933) di Sidney Franklin s’incentra sul dilemma di Elena (Diana Wynyard), un tempo amante dell’arciduca Rodolfo Massimiliano d’Asburgo (John Barrymore) ma ora moglie dell’eminente psichiatra viennese Anton Krug (Frank Morgan).

Una psichiatria assai diversa viene esercitata in un film più serio, Mondi privati (1935), che segna l’inizio della “seconda età d’oro” del cinema americano. Il film venne girato con un dottor Samuel Marcus nelle vesti di “consulente tecnico”: Ambientato nel “Brentwood Hospital”, Mondi privati tratta più le relazioni interpersonali dei vari componenti dello staff che le relazioni di questi con i pazienti. La trama comprende la storia d’amore fra il nuovo direttore dell’istituto Charles Monet (Charles Boyer) e la protagonista, una donna psichiatra che non sa controllare le proprie emozioni e che qui viene interpretata da Claudette Colbert. Il film offre anche un primo esempio delle difficoltà incontrate dal cinema americano nel concettualizzare gli psichiatri come medici. Tuttavia, quando gli psichiatri trattano effettivamente i pazienti, diventano poco più che dei “sorveglianti” che tengono a freno i violenti e consolano i depressi.

Nel 1939 l’immagine dello psichiatra oracolare, demedicalizzato e simile ad un dio, emerse pienamente in Vicolo cieco, grazie all’interpretazione fornita da Ralph Bellamy del dottor Shelby. A quest’epoca, infatti, si è già affermato un mito cinematografico della psichiatria che si regge sulla tensione fra immagini diametralmente opposte. Questo processo di creazione di miti viene utilizzato nel modo più efficace in   E' arrivata la felicità (1936) di Frank Capra. Gary Cooper interpreta il tipico eroe di Capra, abitante di una piccola cittadina, che incarna i valori americani tipici di quello che viene definito “un agrario alla Jefferson”.

Gli anni trenta terminano con un curioso esempio di psichiatria cinematografica: Children of Loneliness. Girato nel 1939, ne fu vietata la proiezione fino agli anni cinquanta a causa dell'attenzione che riservava a temi proibiti. Children of Loneliness utilizza uno psichiatra per collegare due casi di omosessualità.

Uno dei più influenti psichiatri cinematografici degli anni quaranta fu il dottor Jaquith (claude Rains) di Perdutamente tua (1942). Il personaggio riprende l'oracolare fumatore di pipa ma, come molti degli psichiatri idealizzati dei primi anni quaranta, è interamente radicato in un semplice razionalismo. Il dottor Jaquith dirige la clinica Cascade che assomiglia più a una tenuta di campagna che a un manicomio. Emana anche una sorta di eterea sessualità. L'esatta natura del trattamento di Jaquith è incerta, dal momento che non lo vediamo mai alle prese con un paziente. Perdutamente tua non contiene alcuna reminiscenza di teorie o tecniche psicoanalitiche. Il dottor Jaquith dispensa piuttosto prediche. Il film svolge un certo ruolo importante nell'opera di familiarizzazione e demistificazione dell'immagine dello psichiatra negli Stati Uniti, ma lo svolge sottraendosi a ogni confronto reale con gli aspetti tecnici della psichiatria. La malattia mentale viene presentata come una sovraesposizione a un genitore insensibile e la cura è costituita da una crociera su una nave di lusso e da un nuovo fidanzato. Perdutamente tua è uno dei molti "film femminili" che offrono una nicchia comoda agli psichiatri coinvolti. Fra i film che si appropriano delal psichiatria come elemento importante nella ricerca dell'identità da parte delle donne dovremmo citare anche il film di Hitchcock Io ti salverò, malgrado gli obiettivi più ambiziosi della pellicola e il ruolo di psichiatra assegnato a una donna. Le scene tra Ingrid Bergman (Constance Petersen) e Michael Cechov (il dottor Bruloff) contengono le prime discussioni dettagliate sul controtransfert di tutto il cinema americano. Constance può avere successo solamente scambiando la sua preparazione psicoanalitica con le reazioni emotive di una donna innamorata e lo afferma lei stessa. D'altro canto, l'istinto di Constance si rivela corretto: guarisce i problemi psicologici del personaggio  di Gregory Peck e risolve il crimine di cui era stato accusato l'uomo che ama. Il film sostiene che le donne sono inefficaci come psicoanaliste se non si realizzano come donne, ma sottolinea anche che gli sforzi di una donna emotivamente coinvolta sono di gran lunga superiori a quelli di psichiatri e detective maschi. Io ti salverò non porta la pratica della psicoanalisi molto al di là della convenzione della semplice guarigione catartica. Il film non mette mai in discussione la forza di una relazione avviata quando uno dei due partner non si comportava in modo del tutto razionale. I "demoni della pazzia" che minacciano l'unico personaggio disturbato del film vengono esorcizzati più da un lavoro da detective che dalla psicoanalisi. Nei film, le donne psichiatre aiutano generalmente i loro pazienti solo innamorandosene.

La fossa dei serpenti del 1948 cerca di presentare i dilemmi che circondano il trattamento di pazienti sofferenti di mente ma, fedele ai modelli di Hollywood, alla fine li sposta nel melodramma. La fossa dei serpenti rientra nel genere dei film del dopoguerra sulle problematiche sociali. E' importante perché interroga l'efficacia della professione a partire da un punto di vista più informato: gli psichiatri riescono a guarire gli ammalati, ma la nostra società e le istituzioni che essa costruisce per le persone disagiate spesso rendono difficile il lavoro degli psichiatri. In La fossa dei serpenti muove i suoi primi passi un'idea che sarebbe stata sviluppata pienamente negli anni sessanta: quella secondo cui alla radice dei problemi delle persone potrebbe esserci la società.

Nel 1946 uscì Manicomio, che vedeva addirittura Boris Karloff nei panni del malvagio direttore di un istituto per pazzi nella Londra del diciottesimo secolo. Nello stesso anno apparve anche Shock, con Vincent Price nei panni di uno psichiatra che uccide la moglie e poi cerca di sbarazzarsi dell'unica testimone del delitto.

Il cinema americano continuò a raccontare la sua ambivalente mitologia sulla psichiatria per la maggior parte degli anni cinquanta.  La maggior parte dei film di questo decennio si limitano a perpetuare tradizioni consolidatesi sin dagli anni trenta e quaranta. Negli anni cinquanta la grande maggioranza dei film con psichiatri era ancora basata su romanzi o copioni teatrali. Pochi film di questo periodo mostrano un cambiamento nell'immagine della psichiatria. La tendenza di Hollywood verso una visione più positiva, una visione basata sulla convinzione priva di ambiguità che alcune persone davvero hanno bisogno di aiuto, è ben illustrata da "La figlia di Caino" (1955). Regista e star tanto della commedia di Broadway che del film fu Josè Ferrer, ma fra le due opere c'erano alcune differenze sostanziali. La figlia di Caino appartiene al genere di cinema sulle istituzioni manicomiali in cui gli psichiatri sono poco più che dei guardiani. Nella nuova versione Bellman diviene improvvisamente lo psichiatra oracolare, un personaggio che stava per diventare un ingrediente base del cinema americano.

Un altro film uscito nel 1955, La tela del ragno, non solo rientra in questa tendenza, ma fornisce la rappresentazione finora più elaborata della professione psichiatrica in un film di Hollywood. La tela del ragno ruota intorno alle tende dell'istituto, e la discrepanza fra il soggetto e il modo in cui viene trattato è stata forse largamente responsabile dell'insuccesso dell'opera. Esso riguarda molto più le vicende personali e le interazioni fra i membri dello staff che la malattia mentale e il suo trattamento. La tela del ragno compie un tentativo abbastanza coerente di collegare le vicende private degli psichiatri con il loro lavoro. Ci mostra psichiatri molto umani alle prese con pazienti solo leggermente disturbati e un istituto molto elegante, ci suggerisce che la psicoterapia stava rapidamente perdendo i collegamenti esotici e scientificamente complessi che aveva avuto un tempo per la mentalità americana. Benché in definitiva il film riconosca la necessità del trattamento psichiatrico per individui disagiati, ne mette in discussione le modalità. Inoltre, nel personaggio di McIver il film introduce un'immagine che diverrà presto uno stereotipo: quella dello psichiatra competente che può dare il benessere agli altri, ma non riesce a mettere armonia nella propria vita. Boyer rappresenta il tipico psichiatra cascamorto che nasconde i propri desideri dietro il linguaggio specialistico. La cosa più significativa in La tela del ragno è l'umanizzazione degli psichiatri. Come molte terapeute cinematografiche, il personaggio di Lauren Bacall è l'ennesima donna che ha bisogno di un uomo per realizzarsi, ma almeno il film le permette di continuare a praticare la terapia dopo aver preso la difficile decisione di rompere la sua relazione con McIver. Inoltre, elal si vede come una persona a cui la psicoanalisi ha dato il coraggio di continuare a vivere dopo la perdita della propria famiglia.

Un altro film degli anni cinquanta che rispecchia il percorso storico tratteggiato è L'ammutinamento del Caine (1954) di Edward Dmytryk. Il film si basava su un romanzo di Herman Wouk.

Per mezza dozzina di anni a cavallo tra i cinquanta e i sessanta, i film rispecchiarono una convinzione crescente nella cultura americana; che gli psichiatri fossero voci autorevoli della ragione, dell'adattamento e del benessere. Prima che quest'idea arrivasse a diventare ortodossia, il cinema americano iniziò a rispondere vigorosamente agli sconvolgimenti della   metà degli anni sessanta, mettendo in dubbio le vecchie idee di salute e conformità e rivoltandosi contro i campioni di questi concetti ridefiniti. Verso la fine degli anni quaranta, i giovani medici, attratti dai successi riportati con le vittime della Seconda guerra mondiale, avevano affollato i corsi di formazione psichiatrica mentre, nello stesso periodo, la rivista  Life ed altri divulgatori dell'ideologia popolare rendevano affascinante la psicoanalisi per l'americano medio. A partire dagli ultimi anni cinquanta, Hollywood iniziò a produrre in modo consistente immagini idealizzate della psichiatria. L'accettazione degli psicoterapeuti nella vita americana finì per passare gradualmente anche nel mondo altamente convenzionale dei miti cinematografici. Questo processo fu facilitato in larga parte da una crisi nel cinema. Quando gli spettatori cominciarono a preferire la televisione e i "film d'arte" europei, quando il pubblico divenne più sofisticato, furono effettuati dei tentativi in extremis per mantenere in vita le vecchie formule. Lo stereotipo cinematografico perfezionatosi durante gli anni della guerra, dello psichiatra che guarisce le menti disturbate con compassione ed efficacia, era pronto per sostenere il progetto hollywoodiano di riportare in vita le vecchie formule malridotte.

la versione del 1956 di L'invasione degli ultracorpi è uno dei film che anticipano l'era delle immagini quasi completamente positive dello psichiatra. Anatomia di un omicidio (1959) di Otto Preminger può anch'esso essere visto in questo contesto. Orson Bean ha una piccola parte nei panni dello psichiatra che testimonia a favore dell'imputato di omicidio (Ben Gazzarra) difeso da James Stewart. Sembra che la scelta di Bean come psichiatra dipenda soprattutto dal desiderio di spingere il pubblico ad abbandonare i vecchi stereotipi.  Prigioniero della paura (1957) di Robert Mulligan lascia intendere come i dirigenti della Paramount non fossero sicuri che il pubblico fosse pronto ad accettare uno psichiatra del tutto umanizzato e infallibile. Prigioniero della paura prende una storia vera come copione e sceglie un attore privo di volto come Adam Williams per interpretare lo psichiatra. Williams interpreta uno psichiatra sensibile che lavora efficacemente in un istituto in cui nulla va storto. Il trattamento viene dipinto come benigno, con una musica tranquillizzante che accompagna le riprese di un Jimmy Piersall (Anthony Perkins) costretto a letto che viene fatto entrare e uscire da una porta con la scritta "elettroterapia". Vediamo solo la stanza dall'esterno e in ogni seduta lo psichiatra di Piersall accanto a lui con un'espressione benevola. La presenza neutra dello psichiatra in un film come questo lascia intendere chiaramente che l'industria cinematografica stava sancendo una nuova accettazione della professione.Ci sono altri film a sfondo problematico che presentano psichiatri idealizzati, ma privi di dimensione personale. Nell'opera angloamericana Il marchio (1961) di Guy Green, Rod Staiger interpreta un eroico terapeuta che aiuta Stuart Whitman a vincere le forze che lo spingono a commettere reati sessuali verso i bambini piccoli. Stuart salva nuovamente il paziente quando il passato torna a tormentarlo. Alla fine il personaggio di Whitman ha stabilito una relazione positiva con una bella vedova e con la sua giovane figlia. In Girl of the Night (1960) di Joseph Cates, Anne Francis interpreta una giovane donna che si prostituisce a causa del trauma di uno stupro nell'infanzia. Arriva sul lettino di uno psicoterapeuta (Lloyd Nolan) che prima la guarisce dal bisogno di vendere il proprio corpo, e poi la difende dai tentativi del suo protettore di riportarla sulla strada.

Ci furono altri film dei primi anni sessanta in cui la vita personale degli psicoterapeuti rimase completamente inesplorata. L'età d'oro culmina nel 1962 con diversi film e in particolare con David e Lisa di Frank Perry. Con il dottor Swinford, interpretato da Howard da Silva emerge in questo film l'essere umano a tutto tondo nei panni dello psichiatra. Il personaggio politicamente impegnato di da Silva ritorna sullo schermo in coincidenza con un importante passo avanti compiuto dal cinema nel trattamento della psichiatria e nell'inaugurare una tradizione americana di personal films a basso budget. Prodotti al di fuori del sistema degli studios, film come Strategia di una rapina di Robert Wise, Ombre di John Cassavetes e David e Lisa di Perry tentarono di abbandonare i vecchi miti di Hollywood e di esaminare attentamente i temi della famiglia, dell'amore e della comunicazione umana. David e Lisa riesce a portare sullo schermo una nuova immagine meno sensazionale della malattia mentale. C'è una scena in cui un gruppo di giovani pazienti in gita è soggetto agli abusi di un tipo del posto , che dice loro che essi non appartengono alla città. David e Lisa non si spinge fino ad affermare che le persone disturbate emotivamente siano migliori di quelle "normali", ma abbraccia fiducioso la psichiatria come la speranza migliore per gli individui sofferenti ed incompresi, equiparando di fatto l'ostilità dell'uomo che li offende al cieco conformismo e all'intolleranza. Questo film rovescia anche i miti della famiglia in molte scene che sottolineano il distacco completo di David (Keir Dullea) dall'insensibile madre. Dal punto di vista ideologico, David e Lisa non utilizza più la psichiatria come strumento per la verifica dei miti americani; piuttosto la psichiatria costituisce la speranza migliore in un mondo a pezzi, ormai privo della promessa consolatoria di una famiglia eternamente disponibile. Parte del successo del film sta probabilmente nell'abilità di da Silva nel comunicare la compassione che il suo personaggio prova per i propri pazienti, senza lasciare che le insegne della professione glielo impediscano.  A quasi quarant'anni di distanza, molti psichiatri parlano ancora di David e Lisa come di una delle raffigurazioni più "realistiche" della psicoterapia.

La gestione dei sentimenti di controtransfert è il tema centrale di un altro film, La scuola dell'odio  (1962) di Hubert Cornfield. E' significativo che la prima apparizione di uno psichiatra di colore avvenga al culmine dell'età d'oro e che Sidney Poitier fornisca alla psichiatria questa sua aura particolare dell'epoca. Le questioni reali del razzismo sollevate da La scuola dell'odio vengono smorzate e, la soluzione offerta nel finale del film suona stonata.

C'è un film poco noto dell'età d'oro   che è interessante soprattutto per il titolo. Il gabinetto del dottor Caligari (1962) di Roger Kay. La messa in scena espressionistica dell'originario Il gabinetto del dottor Caligati viene rievocata in un'unica scena, e poco altro collega il film del 1962 con la fonte del suo titolo. Nondimeno questo "remake" è tipico dell'età d'oro perché costituisce una grande apologia della psichiatria: tutti i trucchi con cui Caligari sembra tormentare Jane sono in realtà tecniche terapeutiche che solo una mente disturbata può considerare minacce. E alla fine O'Herlihy è il personaggio affabile del sogno cioè, in altre parole, il tipico psichiatra cinematografico a cavallo fra gli anni cinquanta e sessanta.

Anche durante l'età d'oro alle donne fu permesso solo raramente di entrare nel pantheon psichiatrico del cinema americano. Alcuni film del periodo 1957-1963 mantengono una posizione scettica sulla psichiatria anche quando chi la pratica è un uomo. 

Tenera è la notte (1962) di Henry King, tratto dall'altrettanto problematico romanzo di F. Scott Fitzgerald, può essere considerato un'anticipazione di un film decisamente post età d'oro, Lovesick (1983) di Marshall Brickman. l film segue la degenerazione di Dick e il miglioramento di Nicole come se questa fosse un vampiro che succhia la salute mentale del marito. E' in larga misura un romanzo autobiografico ispirato al travagliato matrimonio di Fitzgerald con la schizofrenica Zelda.

Un film curioso di questo periodo che merita di essere menzionato è Improvvisamente l'estate scorsa (1959) di Joseph L. Mankiewicz, basato sull'omonimo atto unico di Tennessee Williams. Montgomery Clift interpreta un giovane e promettente chirurgo del cervello, l'ennesimo medico della mente idealizzato che interviene in soccorso della protagonista rinchiusa in un istituto (Elizabeth Taylor), riesce al termine del film a favorire una sua guarigione catartica e lascia trasparire un evidente interesse sentimentale nei suoi confronti. Quello che rende il film problematico è il suo significato nascosto: l'intero ritratto della cura in un istituto per malati di mente ritorna alle convenzioni sui manicomi degli anni quaranta, con tanto di pazienti trattati in modo selvaggio, custodi arbitrariamente repressivi e direttore corrotto pronto a lobotomizzare una paziente in cambio delle offerte di una ricca patrocinante. 

L'opera di Hitchcock rispecchia una visione più attenta e articolata che coinvolge la psichiatria a vari livelli. Da un punto di vista psicoanalitico, gli ultimi film sono molto più interessanti di Io ti salverò. Molti critici e cineasti considerano il capolavoro di Hitchcock, La donna che visse due volte (1958). In questo film, più che la breve apparizione del terapeuta, risulta importante un significato nascosto che trova la follia nell'amore, il tradimento nell'amiciziae la morte nello spostamento del crescendo sessuale quando Scotty e Judy arrivano senza fiato sulla cima del campanile.

E' difficile che Hitchcock fosse interessato ai rimedi in extremis che la psichiatria forniva così spesso ai film a sfondo problematico dell'età d'oro. Malgrado questi film che offuscavano lo splendore della psichiatria a cavallo fra anni cinquanta e sessanta, la nostra epoca culmina nel 1962 con il Freud di John Huston. Il film è interessante, non solo per il ruolo svolto da Jean-Paul Sartre nella genesi della sceneggiatura. I titoli d'apertura ci spiegano che non uno, ma ben due consulenti psichiatrici assistettero alle riprese. Dopo un  episodio in cui dubita di sé stesso e la moglie cerca di incoraggiarlo leggendogli alcuni passi del suo diario, Freud comprende improvvisamente l'importanza della sessualità infantile. Nel momento in cui egli si rende conto dell'importanza della propria scoperta, la moglie apre le tende e la luce del mattino inonda la stanza. Un film come Freud fornisce un esempio eccellente della capacità del cinema di banalizzare specialmente quando, paradossalmente, tenta di convincere lo spettatore della serietà di quello che ha intrapreso.  Dobbiamo ricordare che parti importanti del film vennero tagliate; al botteghino, Freud fu un fallimento. La psichiatria non ebbe mai la capacità di attirare il pubblico. Quando nel 1963 Freud fu rilanciato col sottotitolo Passioni segrete, non ebbe miglior fortuna.

L'età d'oro termina rapidamente e il 1963, come già il 1957, è un anno di transizione in cui possiamo veder emergere una nuova e negativa concezione della professione. L'idea che i mali della società annullino o contrastino gli sforzi della psichiatria era già presente in film precedenti. La fine improvvisa e inaspettata dell'età d'oro coincise con un altrettanto improvviso e inaspettato declino del sostegno governativo alla ricerca e alla formazione psichiatrica.

Dopo il 1963 l'immagine idealizzata della psichiatria non scompare interamente dai mezzi di comunicazione popolare. Tuttavia le immagini più grossolane della psichiatria passarono dalle case cinematografiche alla televisione. Nel 1962 uscirono diversi film di orientamento terapeutico che illustrano questo punto. Anna dei miracoli di Arthur Penn, Splendore nell'erba.

La questione dell'alcoolismo offre un esempio ancora migliore di come i problemi sociali si spostarono da un media all'altro. Sarah R. - Portrait of a Teenage Alcoholic , Beatrice: Life of the Party e A Sensitive, Passionate Man, sono tre esempi di film per la televisione che trattano l'alcoolismo con una serietà mortale.

Scritto e diretto da Brian De Palma, Vestito per uccidere racconta la storia del dottor Robert Elliott, uno psichiatra di Manhattan interpretato da Michael Caine. La principale immagine di psichiatria che appare in Vestito per uccidere è quella dello psicotico dottor Elliott, ma come in Psyco, uno psichiatra compare anche alla fine del film alla centrale di polizia per spiegare la mente dell'assassino. Il modo in cui De Palma tratta la psichiatria è tutto coerente con la maggior parte dei film americani, e Vestito per uccidere può forse essere ricordato come il film in cui culminano vent'anni di reazione contro la psichiatria.

Alan J. Pakula e Robert Mulligan avevano realizzato Prigioniero della paura. Nel 1966 uscì invece il loro Lo strano mondo di Daisy Clover, la storia di una star bambina degli anni trenta (Natalie Wood) che viene grossolanamente manipolata dal boss di uno studio.

Non appena l'età d'oro iniziò a declinare, gli istituti mentali vennero fatti passare per parenti stretti delle camere della tortura. L'idea dell'elettroshock usato come punizione apparve poi nel modo più indimenticabile in Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975) di Milos Forman.

I cambiamenti drastici nella rappresentazione della psichiatria dopo l'età d'oro sono senza dubbio collegati alle rivoluzioni culturali degli anni sessanta. I film popolari degli anni sessanta continuarono a proporre i miti della libertà e della supremazia del sé, in un modo un pò rinnovato rispetto alla struttura dei classici film hollywoodiani, ma rimanendo comunque ancorati alla mitologia tradizionale americana. Come i film americani hanno sempre sfruttato la psicoanalisi, la psichiatria americana ha in un certo senso sfruttato questi miti cinematografici, presentandosi spesso come un mezzo per superare le barriere che ci separano dalla felicità. Nel clima di protesta sociale degli anni sessanta, la psichiatria poteva venire collegata facilmente alle presunte caratteristiche conformiste e repressive degli anni cinquanta, e gli psichiatri vennero regolarmente raffigurati come unna componente delle forze dell'estabilishment che perpetuavano i falsi valori della vecchia America. I film a sfondo sociale che avevano fornito agli psichiatri l'ambiente più favorevole nei primi anni sessanta erano praticamente morti nel 1965. Il 1964 vide l'uscita di Elettroshock, in cui Lauren Bacall interpreta un'altra cattiva psichiatra che dirige un istituto come una facciata per guadagni finanziari illegali. Alla fine però diventa ella stessa psicotica. In Lilith, la dea dell'amore Warren Beatty interpreta un terapeuta tirocinante che si innamora di una paziente gravemente disturbata (Jean Seberg) che alla fine lo conduce alla pazzia. Nel 1965 la reazione è completa. Gli psichiatri vengono completamente svalutati. Gli stereotipi negativi sugli psichiatri aumentarono ulteriormente sugli schermi americani nel 1966. Negli anni sessanta e settanta l'eroe ufficiale divenne proprietà esclusiva di film del ciclo di destra, mentre l'eroe fuorilegge rimase una caratteristica dei film del ciclo di sinistra. Una volta che i film di destra e di sinistra ebbero abbandonato la struttura della riconciliazione, non ebbero più bisogno di psichiatri. Piuttosto crearono uomini di paglia per rafforzare la validità della causa del protagonista. In un film del ciclo di destra come Il giustiziere della notte 2, la psichiatria rappresenta un tentativo debole e poco virile di risolvere i problemi che vengono affrontati in modo più efficace dalla violenza di un giustiziere. In film di sinistra come Qualcuno volò sul nido del cuculo il potere della psichiatria è più infausto che nei film destinati a un pubblico di destra. Lo strangolatore di Boston  (1968) di Richard Fleischer prende sul serio la storia vera di Albert De Salvo. Lo strangolatore di Boston appoggia chiaramente il punto di vista del poliziotto rispetto a quello dello psichiatra.

La rassegna anno per anno potrebbe proseguire senza grosse modifiche nell'immagine negativa della psichiatria se non con alcuni spunti interessanti. Nei propri film Woody Allen ha interpretato coerentemente il tipico individuo in analisi ormai disilluso. Da Woody Allen la psicoanalisi viene considerata qualcosa di diverso dalla promessa di arrecare la felicità risolvendo i "problemi personali"; l'analisi è semplicemente un altro aspetto noioso della vita di città.  In Io e Annie (1977) Alvy Singer (Allen) dice diverse battute sulla psichiatria che sono state poi a lungo citate. Alvy/Allen afferma di essere stato in analisi per quindici anni, ma che tuttavia, se non farà progressi entro il prossimo anno, andrà a Lourdes. Woody Allen ha aggiunto alla sua caratterizzazione della psichiatria un'ironia che separa i suoi film dalla grande maggioranza dei film americani con i loro psichiatri stereotipati che rientrano meccanicamente in formule generiche. In Io e Annie Woody Allen usa la tecnica split-screen per mostrare Annie (Diane Keaton) e Alvy (Woody Allen) mentre stanno discutendo in contemporanea con i rispettivi psichiatri i problemi della loro tormentata vita sessuale. Ogni analista chiede ad Annie e ad Alvy quante volte hanno dei rapporti sessuali. Alvy risponde: "Quasi mai, forse tre volte a settimana". Annie invece: "Di continuo, direi tre volte a settimana". Benchè nei film di Woody Allen gli psichiatri appaiano spesso infficaci o pomposi, il suo scopo non è semplicemente condannarli o sfruttarli per scopi generici e convenzionali. Se c'è qualcosa che interessa Woody Allen è prendersi gioco dei loro pazienti. Inoltre Allen usa la psichiatria, insieme a molte altre tecniche cinematografiche, per esplorare l'ambivalenza nelle relazioni umane. In Hanna e le sue sorelle (1986) egli ha creato una delle sintesi artisticamente più riuscite delle sue molte ossessioni. Ancora una volta Allen si impadronisce della psichiatria come di un elemento importante nelle vite dei personaggi spiritosi, belli e delicatamente incrinati che interagiscono nei film. "Sono stato in analisi per anni. Non è successo niente. Il mio analista, povero ragazzo, è divenuto così frustrato da mettere su un bar". Allen non ha mai fatto propaganda a favore della psichiatria ed è un regista troppo sottile per suggerire che esiste una relazione diretta tra terapia e "guarigione". Ma in Hanna e le sue sorelle almeno uno dei personaggi sembra aver tratto giovamento dal trattamento. Non c'è alcun dubbio tuttavia che la concezione di Woody Allen dell'analisi si sia oscurata negli anni novanta.

Anche i film di Paul Mazursky usano la psichiatria per affrontare l'inevitabile ambivalenza delle relazioni umane, ma la sua opera è particolarmente interessante perché in tutti i suoi film egli ha sempre ingaggiato psichiatri realmente esistiti. Donald F. Muhich, per molti anni psichiatra a Beverly Hills, è apparso in quattro film di Mazursky  e in pratica è stato consulente del regista in ogni film che questi ha girato a partire dal 1969. Muhich fornisce delle interpretazioni pacate come psicoterapeuta in Bob and Carol and Ted and Alice (1969) e Una pazza storia d'amore (1973). Egli appare brevemente anche in Io, Willie e Phil (1980) e in Su e giù per Beverly Hills (1986). Il personaggio interpretato da Muhich in Bob and Carol and Ted and Alice rientra nella struttura storica delal rivolta contro la professione che nel 1969 era ancora forte nei film americani. Mazursky è uno dei numerosi registi che, come Martin Scorsese, Francis Ford Coppola e in una certa misura Robert Altman, negli anni settanta cercarono di raggiungere un equilibrio fra consuetudini commerciali e critica sociale. In  Una pazza storia d'amore il dottor Muhich è lo psichiatra di Blume (George Segal) e della moglie Nina (Susan Anspach).

Mazursky e Woody Allen hanno espresso un'ambivalenza nei confronti della psichiatria che può forse rappresentare un modo nuovo e raffinato di impadronirsene per esplorare con garbo e ironia la complessità delle relazioni amorose.

L'ambivalenza di Mazursky nei confronti degli psicoanalisti e degli psicoterapeuti sembra alla fin fine seguire la stessa sorte di quella di Woody Allen: e cioè degenera in completo disprezzo.  Uno psichiatra vero compare anche in Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975) di Milos Forman, ma qui finisce ogni somiglianza tra i film di Mazursky e quello di Forman. Qualcuno volò sul nido del cuculo presenta la psichiatria come complice di una cultura che non esita a usare l'elettroshock e la lobotomia per punire chi trasgredisce.

Alcuni film degli anni settanta meritano un'attenzione particolare per la misura in cui hanno ampliato questa formula dello psichiatra-come-braccio-repressivo-della-società come in Harold e Maude  (1971) di Hal Ashby. L'idea che la psichiatria collabori agli sforzi della società per distruggere i suoi individui vitali, ma poco convenzionali, viene esplicitata addirittura dallo psichiatra in Equus, il film che nel 1977 Sidney Lumet ha tratto dal testo teatrale di Peter Shaffer.

Intorno alla metà degli anni settanta iniziarono ad apparire alcuni film un pò meno ostili nei confronti della professione: I Never Promised You a Rose Garden (1977), Una donna tutta sola (1978) ed E ora: punto a capo (1979), tutti film che danno una visione molto più positiva dei terapeuti. Tuttavia il film che ebbe maggior successo nel capovolgere la tradizione dell'antipsichiatria, e nel riportare in un certo senso alla vecchia struttura della riconciliazione, fu Gente comune che vinse l'Oscar nel 1980.

Col trascorrere degli anni ottanta, le speranze, promesse da Gente comune, di rappresentazioni più ragionevoli degli psicoterapeuti andarono presto affievolendosi. In Terapia di gruppo (1987) di Robert Altman, due terapeuti (Tom Conti e Glenda Jackson) sono chiaramente assai più disturbati dei loro pazienti. 

Psichiatri cattivi, corrotti e incompetenti abbondano nei film degli anni ottanta.  Gli anni novanta non mostrano alcuna diminuzione nella presenza di psichiatri e altri terapeuti nei film americani, né manifestano variazioni significative nei consueti miti cinematografici riguardo a quello che gli psicoterapeuti sono e fanno. Le terapeute insoddisfatte sembra che non possano evitare di innamorarsi dei loro avvenenti pazienti. Ad esempio Barbra Streisand in Il principe delle maree (1991), Lena Olin in Mr. Jones (1993), Madeleine Stowe in L'esercito delle dodici scimmie (1995) e Renè Russo in Tin cup (1996).

Gli psichiatri inefficaci sono onnipresenti. Come era prevedibile nel corso del decennio spuntano anche psichiatri malvagi. Nel plurivincitore all'Oscar Il silenzio degli innocenti (1991) di Jonathan Demme, Anthony Hopkins interpreta il famigerato Hannibal Lecter che uccide i suoi pazienti e poi li divora.

Sfera (1998) di Barry levinson esprime la solita ambivalenza nei confronti del ruolo dei professionisti della salute mentale considerati pseudoscienziati a cui manca la competenza dei ricercatori delle "scienze dure". L'immagine che emerge da Sfera è ambivalente nel senso che per quanto gli psicologi sembrino detenere indubbiamente una conoscenza e una competenza importanti, essi risultano fondamentalmente dei buoni a nulla corrotti e immorali.

Nella serata degli Oscar del 1998, comunque, le statuette per il miglior attore e per il miglior attore non protagonista sono andate a un paziente psichiatrico (Jack Nicholson) e a un terapeuta (Robin Williams).

Pagina iniziale