Una poetica leggenda
Le tribù degli Aztechi, in origine nomadi e
cacciatori, nel corso del XIII secolo si stabilirono, assieme ad altre tribù Nahua alle
quali appartenevano, sull'altopiano messicano, trasferendosi dalla mitica regione di
Aztlán (da cui il nome della popolazione) situabile nel Messico nord-occidentale. Secondo
la leggenda narrata in poetico linguaggio nella "Cronica Mexicayotl", gli
Aztechi giunsero dalle fredde foreste del nord America in cerca della terra che
loracolo di Uitzilopochtli aveva loro profetizzato. L'oracolo parlava di un fico
d'India a tre rami germogliato su una roccia in mezzo all'acqua e di un'aquila reale
posata sui rami che teneva un serpente prigioniero tra gli artigli. Giunti sull'altopiano
centrale, si rallegrarono per alcuni segni premonitori della "terra promessa" e
una notte il dio apparve in sogno al sacerdote Serpente-Aquila e lo incitò a proseguire
nella ricerca della roccia sulla quale fioriva il cactus. Allora il popolo guidato dal
sacerdote si mise nuovamente in cammino e trovò il grande lago che aveva sognato nel suo
peregrinare e fondò la città cui diede nome Tenochtitlan ("cactus su una
pietra"): era l'anno 1325. Tra il XIV e il XV secolo, gli Aztechi diedero vita a un
potente regno con capitale Tenochtitlàn, fondata sulle isole del lago Texcoco (oggi
prosciugato), là dove ora sorge Città del Messico. La terra nella quale si erano
insediati gli Aztechi non era disabitata: molti popoli vi avevano già stabile dimora. Tra
questi i più evoluti erano i Toltechi, fondatori della città
di Tula. Il grande popolo nomade giunto dal nord seppe riconoscere la superiorità degli
abitanti di Tula: dalla civiltà tolteca apprese elementi culturali e religiosi che
dovevano divenire fondamentali nella storia della sua stessa civiltà.
Un vasto impero
I commercianti occupavano un posto importante
nella società azteca anche perché raggiungendo le contrade più lontane essi assumevano
il compito di osservatori politici e dovevano riferire, una volta tornati a Tenochtitlan,
sull'organizzazione delle città vassalle che, appunto per la loro lontananza dalla
capitale del regno, non potevano essere regolarmente controllate. E si trattava di un
regno molto vasto: all'inizio del XVI secolo si estendeva dalle regioni dei Pacifico al
Golfo del Messico e dallaltopiano di Anahuac alle foreste del Guatemala. Nella
gerarchia sociale, articolata in sacerdoti, nobili, liberi, servi della gleba e schiavi,
il vertice era costituito, oltre che dal re, dai due sacerdoti di maggiore dignità che si
occupavano rispettivamente, del tempio di Huitzilopochtli e dei tempio di Tlaloc. Tra i
sudditi la percentuale più alta era costituita dai maceualli, i contadini che
vivevano in gruppi di famiglie legate fra loro da vincoli di parentela su ampi poderi loro
assegnati dal re. Il mais era la coltivazione più diffusa: veniva seminato in marzo e
raccolto in luglio, se le piogge erano arrivate puntuali. Tutti gli aspetti della vita
quotidiana vennero dagli Aztechi raffigurati in opere d'arte e d'artigianato che oggi sono
preziosa testimonianza di una civiltà tanto recente e tanto rapidamente annientata. Gli
abitanti della città potevano dedicarsi a tutte le attività caratteristiche di una
fiorente civiltà: potevano essere vasai, tessitori, orefici, scultori, commercianti,
oppure potevano intraprendere la carriera militare. L'arte in cui eccellevano era la
tessitura : la tela insieme con varie qualità di corda e con l'ossidiana, la dura roccia
vulcanica abbondante sull'altopiano, era il principale prodotto di scambio che essi
portavano nelle regioni del sud, barattandola con le penne degli uccelli tropicali che
servivano ad abbellire i loro costumi coloratissimi, e soprattutto col cacao, il prezioso
frutto da cui estraevano la bevanda nazionale che ancor oggi conserva il nome in lingua
nahuatl : la cioccolata. Nel 1519 sbarcarono in Messico i conquistadores spagnoli, guidati
da Hernàn Cortés, in cui gli Aztechi credettero
di identificare il re divinizzato Quetzalcoatl
(il re-sacerdote tolteco Ca Acatl accolto poi nel pantheon azteco col nome di
Quetzalcoatl, "serpente piumato verde" . Secondo la leggenda azteca il re Ca
Acatl avrebbe lasciato la sua capitale Tollan per emigrare verso il paese dell'aurora. I
popoli del Messico attesero per secoli il suo ritorno e gli Aztechi furono, inizialmente,
vittime della tragica identificazione di Quetzalcoatl con Cortés). Gli uomini di Cortés
ebbero facilmente ragione della resistenza degli Aztechi (che avevano deposto Montezuma,
il re che era andato incontro a Cortés e gli aveva consegnato la città, ed avevano
eletto suo fratello Cuitlahuac) grazie alle armi da fuoco. L'occupazione del Messico
avvenne fra gli anni 1519 e 1522.
La religione
Come presso tutte le altre civiltà precolombiane, la divinità era
essenzialmente simboleggiata dalle forze cosmiche; nella teologia azteca un posto
preminente era occupato dagli dei solari, della pioggia e del vento. Huitzilopochtli era
il dio del sole che proteggeva la tribù e la spingeva alla guerra per procurare vittime
umane da sacrificare. Gli Aztechi erano convinti che questo dio li avesse assistiti nella
loro migrazione verso il Messico: egli era perciò diventato il protettore del regno e
nella consacrazione del suo tempio principale, nell'anno 1486, gli vennero sacrificati
70.000 prigionieri di guerra. Agli dei della pioggia apparteneva Tlaloc ("colui che
fa germogliare") che era anche signore dell'aldilà e aveva per simbolo l'albero
della vita. Secondo gli Aztechi il cielo era articolato in 13 parti, ognuna sede di una
divinità, e gli inferi in 9. In base alla loro visione dei mondo, il cielo e gli inferi
costituivano due enormi e altissime piramidi, i cui vertici erano agli antipodi, e in cui
la superficie di contatto delle rispettive basi veniva a coincidere con la superficie
terrestre, che altro non era se non un disco piatto, circondato dalle acque. Per quanto
riguarda il mondo dell'aldilà gli Aztechi credevano nell'esistenza di tre differenti
regni dei morti. Nel primo, dimoravano tutti coloro che venivano uccisi nei sacrifici,
così come i caduti in battaglia e le donne morte di parto. Nel secondo, corrispondente al
regno del dio della pioggia Tlaloc, trovavano riposo tutti gli annegati e coloro che erano
stati colpiti da fulmini, nonché i lebbrosi e i paralitici. Nel terzo, finivano tutti gli
altri morti. Tra i valori etici, gli Aztechi attribuivano unimportanza primaria
all'amore per la verità, all'onestà, alla fedeltà nella monogamia e alla parità di
diritti fra i due sessi. Gli Aztechi possedevano vari calendari. Ve n'era uno rituale,
detto tonalpohalli, di 260 giorni, suddiviso in 13 mesi di 20 giorni ciascuno. Quello
solare, detto Xiuitl, era di 365 giorni, suddiviso in 18 mesi di 20 giorni con in più 5
giorni intercalari. Esigeva che a ogni ventesimo giorno, e quindi 18 volte all'anno,
venissero celebrate grandi festività, ma soprattutto richiedeva che, per assicurare il
giro del sole nella sua orbita giornaliera, si offrisse durante tali cerimonie del sangue
umano alle divinità solari. Senza questi sacrifici gli Aztechi ritenevano che la vita
sulla terra si sarebbe estinta. Al sacrificio umano erano generalmente deputati i
prigionieri di guerra e, di conseguenza, per procurarsi sempre nuove vittime, gli Aztechi
intraprendevano continue campagne militari contro i loro vicini, imponendo loro regolari
tributi umani. Le forme di sacrificio del corpo umano erano varie. In primo luogo figurava
la cerimonia dell'offerta del cuore, che veniva strappato dal corpo vivo della vittima. Vi
erano poi cerimonie di immolazione col fuoco, nonché sacrifici gladiatori. Infine vi
erano pratiche di scorticamento, durante le quali alle vittime veniva levata la pelle,
mentre erano ancora in vita. Tra i sacrifici incruenti erano molto apprezzate le offerte
di fiori, di incenso o di frutti vari. Un valore rituale aveva anche il gioco della palla,
ollama, disputato nei pressi dei templi. Ad esso era attribuito un significato
simbolico, in rapporto al moto del sole. |