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2.1 LA CRISI DEL QUOTIDIANO NEGLI ANNI '90

 

Se dovessimo accettare come verità assoluta le parole di Bill Gates, nel giro di pochi anni dovremmo prepararci a sancire la morte del quotidiano a livello mondiale. Nel suo discorso al World Economic Forum di Devos, nel febbraio '99, il magnate dell'informatica ha predetto la fine inesorabile di tutte le pubblicazioni cartacee . È innegabile che l'editoria in formato cartaceo, in seguito all'avvento ma soprattutto ad un più completo sfruttamento delle potenzialità di Internet, abbia iniziato un declino che può essere preoccupante da molti punti di vista. Ma è altrettanto vero che questo declino si è articolato in modalità e parametri di valutazione estremamente differenti, se non, addirittura, contraddittori. Relativamente al caso italiano, Mario Morcellini, Direttore del Dipartimento di Sociologia nell'Università di Roma, osserva, infatti, come in quest'ottica sia rilevante il riconoscimento di una palese distorsione storica (leggermente attenuatasi negli ultimi anni) consistente nell'incredibile debolezza della lettura dei quotidiani e nella contestuale, evidentissima fortuna dei periodici. "… Ricorrendo a un'analisi non rigorosa sul piano concettuale, ma assai feconda per la spiegazione del caso italiano, - sostiene l'illustre massmediologo - nel nostro paese è sembrato a lungo prevalere un forte interesse per la comunicazione, in tutti i suoi aspetti, a fronte di un bisogno di informazione secondario e, tutto sommato, minoritario". Se da un lato, come già evidenziato da Morcellini, appare azzardato e, per certi aspetti arbitrario, considerare il modello italiano come paradigma dell'incombente metamorfosi di relazione tra produttore e consumatore di informazione, è altrettanto vero che è proprio questo bisogno di comunicazione, a più livelli, a promuovere l'adesione a formati di diffusione maggiormente interattivi e multimediali. I giornali italiani hanno tentato di rivitalizzare le vendite tramite continue campagne promozionali, ma anche questa cura si è rivelata, a lungo andare, un palliativo, poiché non in grado di adempiere ai nuovi bisogni della società dell'informazione. Nel 1990 si vendevano in Italia circa 6 milioni e 800 mila copie di quotidiani. Nel 1996, nonostante le promozioni, solo 6 milioni. E la situazione non è diversa negli altri paesi. Negli Stati Uniti, nel 1994, ben 26 testate hanno dovuto abbandonare l'edicola e le vendite complessive sono scese sotto i sessanta milioni di copie. "Los Angeles Times", "Newsday", "Miami Herald", "The New York Times", "The Washington Post", "The Wall Street Journal": tutti viaggiano in acque agitate. In Gran Bretagna "The Times", "The Guardian" e "The Independent", nonostante i loro 2,5 milioni di copie vendute, devono fronteggiare la concorrenza dei tabloid popolari che, puntando sulla formula più retriva del giornalismo - le famose tre esse: Soldi, Sangue, Sesso - vendono ogni giorno 12,5 milioni di copie. La Forrester Research prevede che entro la fine del 2001 la televisione e i giornali stampati perderanno porzioni significative di mercato a vantaggio di Internet. L'aspetto più sorprendente, però, risulta proprio dal confronto tra la poco rassicurante prospettiva a medio e lungo termine e la valutazione dei bilanci. Le grandi testate sono relativamente al sicuro, le note negative vengono dalla situazione dei piccoli giornali, questi sì a rischio di sopravvivenza. Negli Stati Uniti i quotidiani rappresentano ancora il segmento più consistente dell'industria della comunicazione, con il 20,6% della spesa complessiva, e quasi tutte le più importanti aziende di comunicazione hanno partecipazioni significative nel controllo delle testate. Ma il dato più allarmante è quello sulle concentrazioni che stanno interessando il settore. Nel 1981, negli Stati Uniti, le società che controllavano il mercato dei media erano 46, nel '93 solo la metà, 23. Per quanto riguarda specificamente i quotidiani, si e' passati da 27 a 14 imprese. Lo stesso fenomeno si è registrato in Europa e in Italia . Non è difficile, quindi, capire come la principale conseguenza sul piano economico e finanziario del graduale ma inesorabile avvicendamento tra giornalismo cartaceo e giornalismo elettronico sia la condizione per la quale le grosse holding riescono facilmente a dominare la scena, mentre le piccole testate e i piccoli editori sembrano destinati all'estinzione. Come già anticipato precedentemente, non è il giornale, come mezzo di comunicazione ad essere messo in gioco (si assisterà alla nascita di redazioni sempre più specialistiche), quanto semmai la struttura di finanziamento e divulgazione. Al fine di alimentare un pur moderato ottimismo riguardo alla possibilità di ristabilimento della situazione iniziale, è opportuno fare riferimento allo studio "Old Media New's Role" condotto dagli analisti della Forrester research . L'ingresso di un nuovo attore -secondo quanto sostenuto nella ricerca - sconvolge gli equilibri precedenti e innesca un processo che gli analisti hanno diviso in quattro stadi: Stabilità. È lo stadio nel quale gli affari vanno bene, è l'età dell'oro di un media, quella dell'espansione. Le radio statunitensi tra gli anni '30 e '40, ad esempio. Shock. Questa è la fase nella quale il nuovo media compare rompendo l'equilibrio e lanciando la propria sfida allo status quo. La comparsa della televisione ridimensionò il ruolo della radio relegandola per un lunghissimo periodo in una nicchia. Cambiamento continuo. In questa fase le specie a rischio di estinzione cercano di capire come fare per sopravvivere. Quando le famiglie cominciarono a spostare in un angolo le radio per far posto ai nuovi apparecchi televisivi, alcune stazioni cercarono di cambiare il tipo di trasmissioni, mentre altre, come la NBC o la CBS, si diversificarono diventando stazioni televisive. Il nuovo equilibrio. Dopo un periodo di mutamento, quello che gli analisti chiamano il Media Darwinism prevale. La televisione si appropriò del cosiddetto prime time, cioè delle ore serali e preserali, e la radio si concentrò sugli automobilisti, catturando ascoltatori al mattino e al pomeriggio. La tv divenne un mass media di successo e la radio si concentrò sulle nicchie. Il giornalismo tradizionale può e deve continuare ad esistere, poiché è nel ruolo istituzionale rivestito da quest'ultimo che possiamo scorgere la speranza di mantenere uno standard di credibilità. "…La futura organizzazione delle informazioni potrebbe non aver bisogno della stampa o delle stazioni broadcast, ma appare incontrovertibile che, più articolata ed inaffidabile diventa l'informazione su Internet, più significativo e prezioso sarà il network costituito da persone preparate ed esperte, che sanno come coltivare e qualificare le risorse, sanno dare la giusta attendibilità alle fonti, verificare e corroborare gli articoli, semplificare le difficoltà senza ometterle, trovare il risvolto umano senza vendere la sofferenza. L'altro importante ruolo che l'organizzazione delle notizie dovrebbe giocare nell'era dei media molti a molti è il ruolo dell'ospite attivo e partecipante alla creazione di comunità…" Partendo da questi presupposti possiamo affrontare con maggiore serenità una rivoluzione massmediatica che sta investendo, con sempre maggiore violenza, la realtà nella quale eravamo inseriti.

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