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4.6 LA SOCIETA' VIRTUALE: UNA VERA DEMOCRAZIA?

 

Il tema delle comunità virtuali non può essere isolato dalla questione, molto più vasta, che riguarda l'ambizioso scenario di un'alternativa telematica al nostro attuale modo di intendere (e di esperire) la democrazia. Descrivendo il programma dell'Electronic Frontier Foundation (EFF), D.Burstein e D.Kline scrivono186: "EFF ha sottolineato un approccio "jeffersoniano" al ciberspazio. Per i leader dell'EFF, ciò significa sostenere che le reti interattive devono essere disegnate in funzione del modello "aperto" e non del modello dei "custodi"… Per EFF, "jeffersonianismo" in ciberspazio significa quindi porre un forte accento sulla difesa della libertà di espressione, così come sulla protezione della privacy personale di fronte alle imprese e al governo, e, in generale, impedire che il governo possa diventare la polizia dell'Infostrada". I media tradizionali, monodirezionali, prevedono un processo comunicativo di tipo asimmetrico. Invece la Rete produce una comunicazione in cui il ricevente ha un ruolo più attivo. Ciò dovrebbe portare ad una sostanziale democratizzazione del sistema dell'informazione in almeno quattro sensi: 1. l'ipertesto impone la condivisione di pratiche comuni da parte di emittente e ricevente; 2. su Internet possono convivere un incredibile numero di voci diverse; 3. ogni mezzo che aumenta la diffusione delle conoscenze nuoce al controllo del potere che si basa anche sul monopolio e l'accentramento dell'informazione; 4. all'idea di decentramento del testo implicata dall'ipertestualità corrisponde l'idea di un fondamentale crollo delle gerarchie, basate sull'idea di centro e centralizzazione. In questo quadro è difficile poter parlare di influenze sostanziali da parte di Internet nella formazione dell'opinione pubblica. Infatti la lettura attiva che presuppone l'ipertesto si traduce in percezione selettiva dell'informazione trasmessa. Le influenze di Internet come medium sono piuttosto legate alla dimensione cognitiva e devono essere valutate a lungo termine. Molti teorici di Internet arrivano perfino ad ipotizzare la possibilità di mettere in atto una sorta di democrazia diretta per milioni di persone grazie alla comunicazione istantanea dei mezzi telematici. In realtà anche questa è un'idea irrealizzabile. Proprio perché la rete è un medium interattivo che richiede molta attività da parte del suo fruitore per funzionare, senza un appropriato addestramento sono poche le persone che sono in grado di usarla appropriatamente e con successo. Perciò al contrario di quanto vogliono le previsioni più ottimistiche, la Rete, nella misura in cui diventerà più importante come fonte di informazione, potrà anche favorire nuove disuguaglianze basate su scarti di conoscenza, fra coloro che hanno assimilato la grammatica del suo funzionamento e coloro che si basano ancora sui testi trasmessi dai media tradizionali. Non possiamo pensare alla Rete come è oggi davvero come a un mezzo di comunicazione popolare. Infatti a differenza della televisione a cui viene spesso accostata, un sistema ipertestuale richiede capacità semiotiche elevate. Nella società dell'informazione diventa fondamentale controllare i codici che permettono di organizzare e decodificare informazioni mutevoli. La conoscenza è sempre meno un sapere di contenuti e diventa capacità di codificare e decodificare messaggi. Il controllo sulla produzione, accumulazione, circolazione, di informazioni dipende dal controllo dei codici. Questo controllo non è distribuito in maniera eguale, dunque l'accesso alla conoscenza diventa il terreno per nuovi poteri, nuove discriminazioni, nuovi conflitti. Un alto numero di utenti in grado di gestire il codice testuale che presuppone l'ipertesto non nasce dal nulla, ma deriva da un processo di alfabetizzazione e dipende anche dall'effettiva disponibilità di accessi il cui costo non sia economicamente discriminante. Tuttavia per Internet si pone prima di tutto il problema di una politica di educazione testuale poiché il semplice accesso non elimina i margini di incertezza legati al suo uso che implica l'estensione senza limiti dell'informazione raggiungibile. L'incertezza deriva in primo luogo dalla difficoltà di stabilire i nessi tra la quantità enorme di informazioni di cui siamo emittenti e recettori: la difficoltà cioè di passare dall'informazione alla conoscenza non è garantita, anzi talvolta proprio l'eccesso di informazioni diventa un ostacolo per la conoscenza. Infatti anche se una nuova tecnologia comunicativa aumenta potenzialmente il livello di informazione per tutti, si tramuta però in beneficio soprattutto per coloro che ne sono già provvisti, accentuando gli scarti. Due ricerche da me individuate in Rete sono l'emblema di questa situazione e pericolo. Colleen M. Keough assieme ai docenti della Annenberg School for Communication alla University of Southern California nel 1997 ha campionato i dati di fruizione telematica di un importante giornale negli Stati Uniti Occidentali in una ricerca dal titolo estremamente significativo: Community or Colony: The case of Online Newspapers and the Web. Keough è arrivato a concludere che la modificazione nelle pratiche di diffusione di informazione emergente dalla commercializzazione della rete e dalla architettura di mercato verticale non porta alla comunità ma alla COLONIA VIRTUALE. Gran parte della gente trova difficile consultare le versioni online dei quotidiani e spesso c'è poca disponibilità a offrire autentiche opzioni di interazione da parte dei redattori. Una seconda ricerca del 1998 condotta da Tanjev Schultz dell'Institute for Intercultural and International Studies dell'Università di Brema e avente il titolo Interactive Options in Online Journalism: A Content Analysis of 100 U.S. Newspapers analizza proprio le strategie messe in atto dalle testate giornalistiche nelle loro versioni online per facilitare il più ampio accesso agli strumenti di interazione. Anche qui i risultati sono sintomatici di un forte gap tra gestione e fruizione dell'informazione. Di fronte all'introduzione di una nuova pratica testuale, la sua effettiva portata dipende dalla misura degli interventi di programmazione e pianificazione politica. Diversamente la diffusione su base ristretta di una nuova tecnologia riapre la forbice fra "ricchi e poveri di informazione" e rilancia nuove differenze nell'acquisizione delle conoscenze. I media infatti in mancanza di un programma politico "riproducono ed accentuano disuguaglianze sociali e danno vita a nuove ed incisive forme di iniquità e di sviluppo diseguale". Il principale rischio sta nella creazione di una società divisa in due: da una parte quelli che possono disporre delle nuove tecnologie e dall'altra quelli che ne sono esclusi, dove solo una parte della popolazione può accedervi, impiegarle agevolmente e trarne tutti i vantaggi. Alla luce di quanto detto si potrebbe solo aggiungere che non basta che le nuove tecnologie siano rese disponibili, se non si fa in modo che siano oggetto di un uso che sia consapevole delle pratiche testuali e dei codici sotto la cui forma è trasmessa l'informazione. Gli ipertesti e quindi anche le nuove offerte telematiche dei mezzi di comunicazione di massa sono virtualmente inutili, se non dannosi, in mancanza di un pubblico di lettori capace di maneggiarli.

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